- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/01/1991
24 Francesco Traniello le ragioni degli umili, della gente comune, avendo deposta ogni par– venza di paternalismo o di populismo, che spesso anche nella tradi– zione della migliore aristocrazia subalpina continuava a celare un in– confessato senso di superiorità quasi naturale e provvidenziale Aspetto, questo, della sua persona, che ha un evidente rapporto, com'è ovvio, con le sue convinzioni politiche, e con i suoi compor– tamenti quotidiani, ma che offre una chiave non secondaria di in– terpretazione della sua personale maniera di atteggiarsi verso la sto– ria degli uomini. Citerò una pagina soltanto del diario, il ritratto del comandante partigiano Tito, alias Celestino Perron, una pagina esemplare nel suo saper disegnare con un sol tratto il profilo di una persona, di un gruppo e di una situazione: «Il Comandante è un sergente maggiore degli alpini, di Valtournanche. I compagni di banda lo hanno ribattezzato «Tito», ma senza voler per nulla allude– re, come si pensa, al maresciallo jugoslavo. Più tardi, quando il gruppo sarà più forte, il felice soprannome sarà una ragione di pre– stigio. Non è facile tenere insieme venti uomini quando tutto è pre– cario. Perché, beninteso, non si tratta di gente che agisce sotto lo sti– molo di ragioni ideali. Il semplice montanaro, il contadino sente più facilmente un dovere consacrato per tradizione e per consuetu– dine che non un dovere <<nuovo», rivoluzionario. Non è sensibile al– la propaganda ideologica: sente piuttosto, istintivamente, una neces– sità che coinvolge la sua persona e gli impone quasi ineluttabilmen– te una decisione. Al capo non chiede parole, ma volontà decisa, fer– mezza, serenità di fronte al pericolo. Disciplina si, ma niente «naja» - perché «naja» significa formalismo, rigidità di gerarchia, asprezza o altezzosità nel comando, tutti i vizi del vecchio esercito. Non vor– rei parlare di una cosciente aspirazione a democratizzare l'organismo militare: piuttosto c'è in loro un residuo di risentimento e di di– sprezzo verso l'incapacità mal camuffata di tanti ufficiali, e di qui nasce, per reazione, un ingenuo orgoglio di saper far da sé, fra uo– mini semplici e risoluti, tutti eguali nei vizi e nelle virtù contadine. Parsimoniosi, rotti ad ogni disagio, instancabili, deboli di fronte a certe tentazioni - al vino per esempio - alieni da ogni fanatismo, e beninteso da ogni complicazione dell'intelligenza. «Tito» è conta– dino, è uno dei nostri; per questo è uno dei più amati della valle. È
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