- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/01/2003

Nécrofogies 521 missione d'arte sacra. Canonico della Cattedrale di Aosta dal 1974 ne ha curato la gestione sotto il profilo monumentale e artistico. Membro dell'Accademia di Sant'Anselmo dal 1997, è deceduto ad Aosta il 17 novembre 1999. Il ricordo più lontano nel tempo che ho di Don Garino risale a circa vent'anni fa, all980. Stavo lavorando con Domenico Prola alla monografia sul castello di Fénis. Compivamo frequenti sopralluoghi al castello e avevo cominciato a mettere a fuoco il ruolo centrale di Aimone e Bonifacio di Challant non solo nella storia di Fénis ma in tutta la storia dell'arte valdostana. Mi sembrava opportuno andare a studiare ciò che restava delle tombe degli Challant nel chiostro della cattedrale, che però era chiuso da decenni. Ne avevo parlato con Prola e la sua risposta era stata: «Non c'è problema, basta dirlo a don Garino!». Ci eravamo quindi dati appuntamento in cattedrale e, accompa– gnati da don Garino, eravamo andati nel chiostro. Dopo aver girato per un po' attorno ai due gisants mutili di Bonifacio e di Francesco di Challant, avevamo dovuto ammettere che la situazione era dispe– rante. Le due statue erano praticamente illeggibili, coperte da una vera e propria crosta di polveri grasse e untuose, che annullavano quasi completamente il rilievo già compromesso dal tempo e dalle corrosioni. Era stato allora che don Garino dicendo: «va beh, ci penso io!», era salito in piedi sulla lastra che reggeva il gisant del conte Fran– cesco e, brandendo una scopa di saggina, aveva cominciato a balayer la statua. Questo per cominciare con un aspetto particolare della persona– lità di don Garino: il suo senso pratico. Don Garino era prima di tutto uomo d'azione. Se c'era da fare qualcosa non stava ad aspettare che qualcuno la facesse: la faceva lui. Quello che ho appena ricordato può sembrare un episodio qual– siasi. E lo sarebbe se ci fermassimo alla spolverata di Francesco di Challant. In realtà quel sopralluogo avrebbe avuto risvolti imprevedi– bili. Avevamo subito convenuto che non si potevano lasciare quelle sculture in quello stato e soprattutto che non si potevano lasciare lì, esposte alle intemperie. Prola sosteneva che era necessario riportarle

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