- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/01/2003

522 Nécrologies all'interno della chiesa e don Carino- che evidentemente aveva già pensato al problema- ci aveva condotti nel deambulatorio, dicendo: «Questa parte della chiesa ormai sul piano liturgico non serve più, volendo ... ». In altri termini nasceva in quel momento, almeno a livello di idea embrionale, quel Museo del Tesoro della cattedrale la cui realizzazione avrebbe impegnato don Carino, e con lui Domeni– co Prola, il sottoscritto, Carlo Viano e Flaminia Montanari negli anni immediatamente successivi, fino all'inaugurazione del 1984. Il Museo del Tesoro della cattedrale è sicuramente il capolavoro di don Carino, ma per capirne a fondo il significato bisogna inquadrar– lo in un più ampio contesto, per ora non ancora interamente realiz– zato, che ebbe sempre nell'instancabile canonico l'ideatore e il realiz– zatore. Il Museo, esponendo il tesoro della chiesa madre della diocesi, ma anche opere raccolte in chiese e cappelle e ricoverate per motivi di tutela, doveva proporsi come una vera e propria testa le cui membra avrebbero dovuto essere quella rete di piccoli musei o anche solo depositi parrocchiali che lo stesso don Carino aveva cominciato ad organizzare già prima del 1980: quelli di Gignod, Torgnon, Introd e Valsavaranche. Molto differenti tra loro andavano dal complesso e ricco contesto dei primi due, alla limitata estensione dei due secondi, che più che musei dovremmo definire vetrine, ma che sono comun– que strutture espositive sotto allarme, sicure e funzionali. Di que– st'ultimo tipo sarebbe stata anche la vetrina di Saint'Etienne di Aosta, mentre negli anni successivi si sarebbero via via sistemate le strutture espositive di Saint-Vincent, La Salle, Valtournanche, Challant-Saint– Victor, Arnad, Issime, Gressqney-Saint-Jean. Lidea era assolutamente di avanguardia. Conosco pochi casi ana– loghi; direi quelli dei musei del Senese o dei musei umbri, ovvia– mente ben più ricchi, dato il contesto, ma riconducibili ad una logi– ca del tutto analoga: quella della tutela dell'opera d'arte in loco, il più vicino possibile al contesto ambientale che l'ha vista nascere. Pur nella più modesta dimensione del patrimonio artistico valdostano, l'i– dea di don Carino si proiettava veramente molto lontano, guardan– do alle più avanzate teorie sulla salvaguardia e gestione del patrimo– nio culturale, disegnando la mappa di un vero e proprio sistema

RkJQdWJsaXNoZXIy NzY4MjI=