- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/06/2012
Una testimonianza sulla serenità di giudizio di Lino Colliard, conservateur éclairé MARCO CARASSI* Il mio contributo a questa Journée riguarda un singolo episodio, molto recente, che ritengo significativo per delineare la personalità di Colliard. Ma non posso omettere, in apertura, almeno un cenno alla benevolenza che egli mi dimostrò in incontri occasionali fin da quando, nel lontano 1974, entrai a far parte della grande famiglia degli archivisti. Un personaggio di sterminata erudizione, da me conosciuto solo sui libri e sulle riviste, si rivelò pieno di sorridente generosità e bonomia verso il giovane collega in preda ad un timore reverenziale e professional– mente, più che alle prime armi, davvero disarmato. La mia testimonianza si concentra dunque su qualche ora di lavoro fatto insieme a Colliard in casa sua nella primavera 20 l O, per adempiere ad un incarico della Deputazione Subalpina di Storia Patria ai fini dell'attribuzione di un premio. Si trattava di abbozzare una prima stesura della relazione che sarebbe poi stata com– pletata insieme con la professoressa Elisa Mangiano, terzo componente della com– missione. Il giudizio unanime era stato favorevole all'opera di Andrea Désandré, Notabili valdostani (Aosta, Le Chateau, 2008). Colliard si dice lieto di poter esprimere un giudizio altamente elogiativo dell'ope– ra, da lui definita « formidabile e dottissima », tanto più meritevole in quanto la giovane età dell'autore non avrebbe lasciato immaginare che potesse già affrontare con successo un tema così delicato e difficile come il chiarimento del perché l'élite valdostana, nutrita di valori legati alla tradizione regionalista e alla lingua francese, abbia aderito in maggioranza al fascismo, che di tali valori rappresentava l'antitesi. Tra i motivi di soddisfazione nel poter esprimere un parere così positivo, Colliard cita anche la distanza di ispirazione ideologica che gli pare di poter intuire tra il giovane orientato a sinistra e se stesso, autodefinendosi « conservateur » non solo nell'ovvio significato professionale; tuttavia aggiungendo subito dopo, col sorriso sulle labbra, « mais éclairé ». Onore dunque al merito, perché l'autore non ritiene sufficiente la tradizionale spie– gazione della prevalente storiografia italiana sull'adesione borghese al fascismo: il timore della rivoluzione bolscevica. E si domanda perché in prima fila nell'adesione al fascismo sia proprio, paradossalmente, la componente democratica e radicale Direttore dell'Archivio di Stato di Torino. 113
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