- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/01/2013

ACTIVITÉS DE L'ACADÉMIE affascina, come pure quella delle tradizioni locali, e questi temi si ripetono in un susseguirsi continuo, ma sempre rinnovati e reinterpretati, nelle sue opere, siano esse manifesti o quadri: la fiera di Sant'Orso e in particolare la produzione di arti– gianato di tradizione che vi è esposta, Lo Charaban, il teatro dialettale, il carnevale, gli aspetti della religiosità popolare, i santi locali, la bataille des reines, la vita conta– dina e pastorale in genere. Franco Balan è ormai un artista la cui fama ha travalicato la cerchia dei monti che lo circondano. È in contatto con molti artisti del suo tempo, italiani e stranieri. Si parla di lui ovunque; mostre delle sue opere, sempre più importanti, vengono allestite non solo in Italia, ma all'estero, fino a raggiungere il lontano paese del Sol Levante, il Giappone, ove egli sarà presente con una mostra di ventagli da lui deco– rati! Ma di questo, così come delle sue esperienze giovanili all'estero, in particolare in Polonia, hanno già scritto e scriveranno ancora altri. Tralasciando l'immensa produzione di quadri e di manifesti che il nostro ha re– alizzato e di cui ho già accennato, esporrò in questa sede solo alcune riflessioni su quell'opera monumentale che ad un dato momento lo coinvolge e che magi– stralmente egli realizza, la Via crucis e sull'altrettanto magistrale Serigrafia storica dedicata a dodici grandi valdostani che a modo loro hanno illustrato la Valle; due opere che hanno aperto a Franco Balan le porte della nostra prestigiosa Académie Saint-Anselme, nella quale è stato accolto come socio effettivo. Personalmente sono fiero di avere postulato a suo tempo la sua causa. La Via crucis, soggetto quanto meno inusitato per il laico Balan, dirà forse qualcu– no. Eppure la sua anima di artista non è stata insensibile davanti alla tragedia del Golgota. Da vero Maestro, ha saputo rappresentare le varie stazioni, illustrando il percorso della salita al Calvario in un tragico film, nel quale il Condannato, accer– chiato da uomini, donne, soldati, plebaglia, cavalli, non ha sempre una posizione privilegiata, ma la macchina da presa dell'artista ha saputo comunque soffermarsi, per metterlo in rilievo, sul suo viso diafano ed esangue. Presto potremo forse ammi– rare quest'opera esposta definitivamente in una chiesa moderna e meditare davanti a questo vero capolavoro, nel quale, l'ultimo atto, quello dell'uscita dal sepolcro, la risurrezione, è visto dal nostro artista come un'eterea spirale che sale verso il cielo per ricongiungersi al Padre . Quest'opera monumentale bene si fonde con le varie rappresentazioni dell'estremo supplizio del Cristo in croce, che il nostro ha pure realizzato a più riprese. In queste rappresentazioni, il patibolo, come strumento di morte, rimane pure un mistero, non puntualmente rappresentato ma da intuire nello sfondo scuro. L effigie del condannato non lascia però dubbi sulla sua sofferenza e sulla sua morte umana. Gli arti sono allungati, stirati verso l'alto e verso il basso, dinoccolati, paralleli al corpo, il capo reclinato, macchiato da rivoli di sangue: il tutto ci lascia intendere che la tragedia è conclusa. 230

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