- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/01/2014
ROMANO PENNA suoi comandamenti (13,1-7) e, in secondo luogo, alla necessità di integrare questa sottomissione con il criterio tipicamente evangelico dell'àyatrll (13,8-10). 24 Una terza soluzione è stata proposta da chi, ritenendo che Rom sia stata indirizzata a un gruppo di credenti in Cristo appartenenti ancora alle comunità giudaiche della capitale, ritiene che Paolo intenda riferirsi nient'altro che alle autorità sinagogali e che perciò egli rivolga ai cristiani romani, soprattutto a quelli di origine gentile, un pressante invito a sottomettersi ad esse fino al punto da pagare la tassa di due dracme per il tempio di Gerusalemme. 25 Ma si tratta di forzature, 26 per cui non resta che intendere le i:çoucrim come de– signazione delle normali autorità civili romane, sia giudiziarie sia amministrative. Questo signifi.cato politico del termine è ben documentabile, come si vede tanto in Le 12,11 («Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle au– torità/-ràç i:çoucriaç) quanto in Plutarco (cf. Filop. 17,7: «Il suo [di Filopemene] alto ingegno lo portava a rivaleggiare e a contendere con le autorità», rrpòç -ràç i:çoucriaç), in Flavio Giuseppe (cf. Be/l. 2,350, dal discorso di Agrippa II: «Le au– torità vanno onorate, non irritate», 9eparrEUElV yàp oÙK É:pE'rlçElV XPfì -ràç i:çoucriaç) e nei papiri (cf. P.Oxy. II,261, 15: nell'anno 55 [probabile data della stessa Rom!] una donna di Ossirinco di nome Demetria, in contesa con un certo Epimaco, e a motivo della propria incapacità, delega il nipote Cheremone a rappre– sentarla «di fronte a ogni tipo di autorità», É::rrÌ 1tau11ç i:çouutaç). È vero che Paolo in Rom 13,1-7 non nomina specificamente nessun tipo concreto ed effettivo di autorità, restando piuttosto sulle generali. Ma a questo proposito è necessario fare un paio di puntualizzazioni. La prima è che il linguaggio impiegato non può non sottintendere qualche riferimento ad alcuni tipi di funzionari dell'ap- 24 «Rm 13,1-7, che in vira al risperm dei comandamenti della Legge, abbisogna dei verserri 8-1 O come del suo necessario complemento, al modo in cui la Legge s'invera e si perfeziona nell'Agape» (ibid., 509). 25 Così MD, NANOS, ?be Mystny o/Romans. The fewìsh Conm:t ofPaul's Lette?; Fomess, Minneapolis 1996, specie 289-336. Vedi in meriro le critiche di N. ELLIOTT, E.E.JoHNSON, S.K. SToWERs, in "Criticai Review of Books on Religion", Il (1998), pp, 149-166; e di S, SPENCE, The Parting ofthe Ways. ?be Roman Church as a CI1Se Study, ISACR 5, Leuven, Peerers, 2004, p p, 311-312. 26 Infani la menzione della spada in 13,4 («Se fai il male, remi, poiché non invano porra laspada/où yàp 8lXU ri)v flOXatpav (jlOpEÌ») in teoria porrebbe anche avere una porrara simbolica, ma vari resti greci amichi arrestano il senso proprio dell'aggerrivo llUXatpO(jlopoç (cf. EscHILO, Pm. 56; ERODOTO 9,32, l; TuciOIOE 2,96,2; 7.27,1; Pousm 38,7,2; PLUTARCO, Silla8,3). 27 Per esempio, in PoLIBIO l ,39, l il plurale apxovnç equivale a «COnsoli» (e vi si danno persino i nomi di quelli in carica nell'anno 253-252 a.C.); in 6,26,5 invece lo stesso plurale designa i governatori delle provin– ce, per i quali si dà l'equivaleme romano di «preferri» con illarinismo rrpal(jlE:Kt:Ol. Da parre sua Flavio Giu– seppe parla di clPXOVHç KUÌ ~oui\wt:al, «magistrati e membri del consiglio», che si sparsero per i villaggi a raccogliere i rriburi (t:oùç (jlOpouç) per i Romani (Be/l 2,405), Se ne può anche vedere l'uso lucano in Ar: memre perlopiù il vocabolo qui indica variamente dei "capi" di ambito giudaico (così in 3,17; 4,5.8,26; 7 ,27.35; 13,27; 14,5; 23,5), almeno in 16,19 sra invece a designare i "magisrrari" romani preposti all'ordine pubblico nella cirrà di Filippi. Su quesra materia, vedi le analisi lessicali di A. STROBEL, "Zum Versrandnis von Romer 13", in "Zeirschrifr fiir die Neuresramemiche Wissenschafr", 47 (1956), pp. 67-93; e di WC. 138
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