- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/01/2014
VANGELO E POLITICA NEL Nuovo TESTAMENTO: UNA RIFLESSIONE SULLE ORIGINI CRISTIANE parato statale romano, come si deduce da alcuni testi antichi. 27 La seconda è che nel discorso cristologico sviluppato sull'arco dell'intera lettera i destinatari non pote– vano evitare di leggere qualche sottinteso riferimento all'autorità politica imperiale romana, che giusto nella capitale aveva la sua sede primaria. Ed è qui che, semmai, la suaccennata tesi di Taubes può avere qualche fondamento. Ritengo probabile che la frase di 13, l b («Le autorità esistenti sono ordinate da Dio») non si possa leggere come una critica alle funzioni di governo, quasi Paolo volesse dire che in quanto ordinate da Dio esse gli sono anche sottoposte al punto da essere relativizzate dalla sua volontà; 28 al contrario, infatti, subito dopo si precisa a chiare lettere che «chi resiste all'autorità si oppone all'ordinamento di Dio» (v.2a), e sarebbe miope non scorgere in queste parole una forma di legittimazione del po– tere: non tanto dello specifico potere imperiale, quanto del semplice principio di autorità. In effetti, il discorso in materia è contrassegnato da una genericità tale che è impossibile vedervi una qualche teoria politica. 29 Lo si vede anche dal fatto che l'Apostolo evita ogni precisazione sia sugli obblighi delle autorità sia sui diritti dei cittadini, mentre insiste piuttosto sul dovere di costoro di comportarsi lealmente nei confronti di quelle. Si vede bene, cioè, che il suo intento è parenetico nei con– fronti dei lettori: e i lettori della lettera non sono né Cesare né i componenti della fomilia Caesaris né i membri del Senato o i vari quaestores-ediles-praefecti-procura– tores, ma sono al massimo un centinaio o due di comuni abitanti di Roma (tanti si possono calcolare i cristiani romani del tempo), che come tali, più di quanto avvenisse in ogni altra parte del mondo, ovviamente risentono in modo più diretto delle caratteristiche del governo imperiale. Ed è su questa parenesi che bisognerà concentrare l'attenzione. Di sicuro sarebbe un imperdonabile anacronismo ermeneutico voler giudicare il te– sto paolina alla luce delle moderne concezioni circa la democrazia o i diritti umani o una certa 'teologia della liberazione' e magari di conseguenza rimproverare l'A– postolo per non avere condotto un attacco polemico contro il sistema politico ro– mano del tempo, sicuramente autocratico, imperialista e schiavista. Paolo, invece, da buon Giudeo non fa che adottare lo stesso atteggiamento, che sarà proprio del successivo giudaismo rabbinico: i Maestri, infatti, benché il potere fosse esercitato VAN UNNIK, "Lob und Strafe durch die Obrigkeit. Hellenistisches zu ROmer 13,3-4", in E.E. ELLIS & E. GRAssER, edd.,fesw tmdPaulus. Fs WG. Kiùnmel, GOttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1975, pp. 334-343. 28 Contro]. ELLUL, «Perite note complémentaire sur Romains 13,h, in "Foi et Vie", 79 (1990), pp. 81-83. 29 Come scriveva MELANTONE, «i cristiani non devono costruire per sé una nuova costituzione politica (nullam enim sibi novam politicenfingere christiani debent) .. ., ma il cristiano deve capire che l'evangelo non organizza un nuovo ordinamento politico (inteltigere quod evangelium non constituat novas politias), ma comanda di onorare le costituzioni e le magistrature esistenti (sed iubeatpraesentes politias et magistratw veneraTi')» (cf. E. LoHSE, Der Briefan die Riimer, GOttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2003, p. 352 nota 2). Analogamente, il Talmud babilonese stabilisce che ula legge del paese è legge» (B.K 113a: cf. A CoHEN, Il ]à/mud, Bari, L""''· 1984 [= 1935]. 233,). 139
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