- Academie de Saint Anselme - Nouvelle Serie - 01/01/2014

VANGELO E POLlTlCA NEL NUOVO TESTAMENTO: UNA RIFLESSIONE SULLE ORIGINI CRISTIANE la Legge (che non passerà: M t 5, 18-19; e che comunque va superata con una giusti– zia maggiore: Mt 5,20-48) non è per richiedere leggi speciali a favore dei cristiani. Lo stesso vale per Paolo, e ciò che egli dice delle «autorità», non lo dice a loro ma ai cristiani in quanto hanno necessariamente a che fare con esse. Certo l'Apostolo non scrive per teorizzare un qualche sistema di potere, ma neppure per cercare di «capire il potere», secondo il titolo di uno scritto di Noam Chomsky, cioè per smascherare i meccanismi e gli inganni delle istituzioni che detengono il potere stesso. 50 Il vario vocabolario impiegato dall'Apostolo per designare le autorità (apxovn;ç, 9wù òraKovoç, AEIToupyoì 9Eoù), per quanto forte e persino contrassegnato da una prospettiva apparentemente religiosa, non intende affatto enfatizzare il loro ruolo e certo non divinizzarle! In l Cor 8,5-6 l'Apostolo ha già chiarito che, «benché (nel mondo) ci siano molti dèi e signori, per noi al contrario c'è un solo Dio e un solo Signore ... ». Ciò spiega perché il Nuovo Testamento non sviluppi nessuna parenesi nei loro confronti ma anche nessuna critica esplicita, che opponga la libertà del cristiano all'autocrazia dell'imperatore romano: è come se il potere politico fosse un àòH!cpopov, a cui il cristiano si adegua per necessità. In secondo luogo, va detto che il fatto di adottare il linguaggio suddetto dipende semplicemente dall'adeguamento culturale a un luogo comune, a un topos proprio dell'ambiente ellenistico e giudaico. In particolare, bisogna pur riconoscere che il principio dell'origine divina dell'autorità non esprime affatto una convinzione spe– cificamente evangelica. Esso invece è un caso tipico di inculturazione dell'evangelo stesso. Questa però non significa certamente una rinuncia all'idea di incompatibili– tà, di timbro apocalittico, tra il cristiano e «questo eone», la quale è stata comunque enunciata programmaticamente, sia da Gesù in Gv 18,36, sia da Paolo in Rom 12,2. Lo si vedrà bene nel caso paradossale di Policarpo, episcopo di Smirne, che circa cent'anni dopo Paolo riecheggerà proprio questo passo paolina addirittura nel momento supremo del suo martirio, rispondendo al proconsole che lo stava per condannare: «Ci è stato insegnato ad attribuire ai principati e alle potestà sta– bilite da Dio (àpxa'ìç KaÌ lsouuiarç ùn:ò 9wù TETOYilÉvarç) onore (TIIlTJY) secondo quanto è conveniente e tale che non ci danneggi ( TlÌV Il lÌ f3A.aTTOUuav ~11aç)». 51 Ne risulta che l'onore da prestare alle autorità non preclude affatto la possibilità di morire per la propria fede; quindi c'è qualcosa che viene prima e vale ben più dell'autorità politica, la quale è messa in crisi proprio dalla irriducibilità del cristiano aln:oA.hwJJa di questo mondo. Usando una terminologia del nostro tempo, potremmo dire che il cristianesimo, tanto gesuano quanto paolino, si rende preferibilmente presente nel sociale, non 50 Cf. N. CHoMSKY, Capire il potere, Milano, MarcoTropea, 2002 (in funzione ami-americana). 51 Mart.Pol. 10,2 (cf. PoucARPO di Smirne, Lettera ai Filippesi. Martirio, a cura di Clara Burini, SOC 26, Bologna 1998, pp. 145 e 147 nora 85). 145

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