Augusta Praetoria - 21/04/1943
AUGUSTA PRAETORIA LA SECONDA MATERNITÀ (Sechilo itìlla i.nia puuina). La loro vita rtella società comincia. Quante cose devono ancora impa– rare per poter viuere in (questa società così complicata. ! E fra tutte (juentc cose, devono imparare a legf^ere e poi a scrivere, a sopportarsi vicendevolmente. La seconda madre, pazieaiemenle, raccoglie questi piccoli futuri uomini. Lentamente, pa.zienteme.nte i nsegna lo– ro degli strani disegni che corrispon– dono a dei suoni e a delle parole, che significano qualche rosa. Insegna loro delle case complicate come quella dì cantare, di scrivere, di leggere. Ed allora il piccolo futuro uomo si accorge che la Dita è diffìcile. La seconda madre la guida, lo miula, lo punisce quando fa ciò eh» è proibito, lo ricompensa quando fa il bene. Ji piccolo futuro uomo cresce attcora. Ha lasciato la scuoia. La lotto per la vita comincia. Egli ha le armi più necessarie per per poter lottare. Ha la salute fisica che la sua pallida mamma, con tanta cura e fatica gli ha data, ha quel piccolo bagaglio di nozioni die la maestra gli IM dati a scuola. La madre, per legge di natura, ha curato il suo figlio. Guai alla maestra' die non ha curato i .tuoi figli ! Guai a lei se ha mancato di fornirli del necessaria per la lotta nella vita ; se, mancando (ti suo dovere, non ha armato i suoi figli, formando la loro volontà e la loro intelligema dei mezzi, perchè possano superare le traversie della vita ! Essa porta una grave responsabili– tà, la seconda madre. La società di domani e un />»' opera sua. E sarà buona e seria se, colla sua opera e col suo esempio la seconda madre avrà formato degli uomini buoni e seri. Sarà cattiva, se, la seconda madre, avrà mancata alla sua missione. C. I N S E G N A N T I DI VAL D'AOSTA II <»> U n a scuola cbe è un tempio ove si imprime la fervida gioia dì vivere senzit orpelli e senza sciocche ambizioni e che ha pe r fattore basilare la Famì g l i a nel s uo concetto piij alto, la Patria nella sua espressione piìi pura, la Re l i g i on e come indispensabile e l emen t o ed alimento di vita e di vitalità.,. Con t u t t o ciò, un co s t ume di vita sobria e semplice, limpida– me n t e armonioso, s e i u a l'abba– cinante o inebbriante illusione di spazi più ampi o d'ori zitonti più vasti, oltre il limite sacro delle mo n t a g n e natali ; il solco fiorito d'un itinerario che può , forse, t ende r e lontano, ma che ricon– duce, s emp r e , alla casa natale che ha per nome ; * R i t o r n a l ». • • • Don Giuseppe Tr ève s , che ha studiato, con luminosa passione e con l ung imi r a n t e visualità, il complesso ed edificante problema della acuoia valdostana e che ha lasciato p a g i n e indimenticabili, fornisce a noi, in suo pad r e una delle figure più tipiche ed avvin– centi dei vecchi maestri dì mon– t a g n a . Il papà di questo grande apo s t o l o della n-^stra Valle, dì q u e s t o Sacerdote e comba t t en t e v e r ame n t e insigne, era un mae– s t r o non già di quelli dotati d'u– na modesta pe r qu a n t o solida istruzione, d i r e t t i t ud i ne e di (1) La prima puntata di questo articolo È apparsa Drn'AnfMjiij Pririfriii. (Jet 34 marzo 1943. molto buon senso, come lo fu la pleiade gloriosa dei « piccoli » insegnanti o delle « piccole » maestre della nostra Valle, Egli aveva fatto studi superiori e,con– s egu i t o uno dei tìtoli che lo ren– d e v a no atto ali ' i n s egnamen t o nelle migliori scuole primarie. Ma più che maestro dì scuola era un maestro di vita, un inse– gn a n t e nel senso più nobile e più esemplare dell'espressione, in qu a n t o la scuola, la formazio– ne della giovinezza a lui affidata, l'elevazione dello spìrito dei suoi giovani a un concetto superiore, non e r a che uno dei lati del poliedrico cristallo della sua dot– trina. Il maestro Sulpìzio Tr ève s fu capo di una famìglia di do– dici figli, di dodici bimbi che da lui avevano ereditato quella so– lidità morale che è Ìl dono più g r a n d e della nostra terra e della nostra stirpe. Oltre a formare tante an ime affidate a .sé, egli aveva, tnaestro e padre, l'obbligo ed il compito di plasmare le ani– me della s u a anima. E non fu impari a questa missione. Fo rmò degli uomini e delle anime dalle ali d'aquila, dei cavalieri senza paura e senza macchia. Insegnan– te, ricercato ed ambito, nell'evo– luta San Vincenzo della Fonte, avulso, per alcuni mesi all'anno. dalla sua famiglia rimasta sulla , mo n t a g n a ove più salde perman– gono le sane virtù terriere e morali, non esitava a lasciare ti posto più rimunerativo e più de– coroso per ritornare, lassù, alla sua piccola Eresa, su Emarese, affinchè la missione della sua scuola continuasse e s'integrasse nell'aula del villaggio e nella casa natale, ad accoppiare la rude fatica del c ampo a quella dell'inse– gnamen t o , ad unire, in un inscin- dibibile principio etico e sociale, il libro della scuola a quello della preghiera. E, reduce dal lavoro, a tarda sera sempre, cantava i salmi cbe nella maestà dell'Alpe assumono un ' imp r on t a di possen– te misticismo, o, con i suoi do– dici figliuoletti, recitava le belle preghiere che da noi, gen t e di lavoro o di pensiero, si usano ancora recitare c ammi nando o ascendendo pe r i sentieri solitari, verso la vetta ove Dio è più vicino e più presente. Non sembri per nulla strano qui ricordare che il maestro-con– tadino, Sulpìzio Trèves, nella casa come nella scuola? h a coromito, ^giii giorno, il s uo alto insegna– men t o con la recitazione della « Vìa Crucis s, in ginocchio. • 1 1 Vecchi e cari maestri di Val d'Aosta 1 Io penso sovente alla mia t piccola » maestra di Muthier. Evoco nel ricordo, che torna al cuore come uno dei richiami più gentili ad un t empo tanto sereno e lontano, il g i o r no in cui mìa Mad r e mi affidava a lei e ripen– so alla tenerezza con cui ella mi prese fra le stie braccia acco– glienti, accarezzandomi, bacian– domi e fissandomi amorevolmente negli occhi. R i c o r d o tanto di lei : della sua bon t à e delle s ue le– zioni. Un fatto Strano colpiva, noi piccolinì. ad ogni fine d'an– n o scolastico ; era qu a ndo la pri– mavera, già t u t t a vestita a festa, saliva quasi importuna alle baite del monte, recando un rinnovo di gioia paesana ed un più po– tente effluvio di vita nella cam– p a gn a e nelle nostre piccole vene. L a maestra, più pensosa e più nostalgica, destinava le ultime lezioni ai più t grandi », a co– loro che avrebbero lasciato alcuni giorni dopo la scuola, per sem– pre. Du r an t e quelle lezioni noi, bimbi, e r a v amo , p r emu r o s ame n t e , invitati a disertare l'aula, inviati a vedere come si a r avano i cam– pì, a cercare farfalle, a racco– gliere fiori, ad ammirare la mon– t a g n a r ega l e che trascolorava agli ultimi incendi del tramonto. R i t o r n a v amo per la preghiera in comune. 1-a libera lezione, auto– s ogge t t i va , all'aperto ed all'aria che ci inebriava dì liberta, ci lasciava un poco perplessi. Ri co r – do che una volta, rientrando a scuola dopo aver rincorso molto invano una farvalla che non avrei nemmeno a v u t o il coraggio di ghermire, un po ' pe r vendicarmi Groei sQlle montagne Giti, nella * piana *, i prati ver– deggiane. Quassù, è ancora inverna. Sull'orlo del sentiero, che, tortuoso e aspro, sale verso i monti, sbuca dalla neve una piccola croce. Piccola croce di legno, che reca scolpiti, a rozzi caratteri, un nomf. una data, un invito. U nome d'una persona scivolata nel burrone, mentre scalava i dirupi. o di qualcuno che la valanga hn travolto. La datA del giorno e dell'armo, in cui avvenne la disgrazia. L'invito (un invito semplice e com movente) a pregare per il defunto. Piccola croce, che parla al cuore.. * w * liccoU croci disseminate sulle moa lagne, vigili e oranti su ogni sentiero dell'Alpe... Quante piccole enei !... La montagna ha le sue vittime, cor/te pure la città. Non per questi' la montagna è crudele. Soltanto ^: montagna ricorda, mentre la cittii dimentica. Nella ritta, passa una macchina, travolge qualcuno, la uccide. Si portai via il cadavere. Butta via rimane una chiazza di sangue. La gente passa, le macchine .si susseguono, la chiazza di sangue scompare e nessuno sa die c'è stato un morto. Succede una disgrazia in monta- ^a? Tutto il paese si commuove. Gli alpigiani accorrono... Le loro ruvide. mani si fanno delicata e materne per sollevare la salma esanime, per av– volgerla in un sudario e trasportarla con religioso raccoglimento, rtel villag– gio, dove .si svolgeià pio e solenne il ^'uneìale. Lagrime sincere solcano i visi ah- bronzati dal sole e dai venti. Poi là, dove accadde la sciagura, viem piantata un piccala croce. Gli uomini, passando, si tolgontt il cappello, mormorano una preghiera : le donne e i bimbi si fanno il segno della Croce, recitano il Re qu i em a;ternam. Poi, a poco, a poco, la piccola croce code, corrosa dalia bufera. Viene sostituita. £ coli di generazione in genera– zione. Can. G, B K K . \ N della strana accondiscendenza del– la maestra, mi mosse, un t a n t i no morbosa ed impertinente, la va– ghezza di conoscere ciò che ella avesse, con tanto riserbo, inse– gna t o o dettato a coloro cbe, pure con amabile grazia, ci trat– tavano con la sminuita d i gn i t à dì ... poppanti. Ap e r t o , furtivamente, un qua– derno s o t t r a t t o con abilità, rima– sta sempre ineguagliata, Itssi : (continua). r. COQUIl.LABD.
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