BASA

Il cardinale Marc'Antonio Bobba 81 Il modo con cui erano generalmente tenute ed il comporta– mento dei fedeli nelle medesime, ci porta spontaneamente a pensare che si fosse praticamente perduto il concetto del loro altissimo fine e quel senso di affettuosa riverenza, che il pensiero della divina maestà inabitante nel tempio, suscita nel cuore a chi crede. La chiesa, per funesto retaggio del medio evo, non sembra più la nitida e silenziosa casa dell'orazione, vestibolo della Gerusalemme celeste, candida visione di pace 192. L'unica chiesa che risulta « debite et riverenter tenta », è quella di Doues ; altre poche sono date pet « sufficientes ». La maggioranza (non faccio nomi perchè l'elenco sarebbe troppo lungo) versa in con– dizioni pietose : tetti pericolanti, con larghe fessure di modo che « undique in ecclesia profluat aqua » ; pareti e volte annerite dal tempo e dalla polvere, senza intonaco, scrostate e con crepe perico– lose ; pavimenti « totum devastati ... », di terra battuta che rendeva malsano l'ambiente o coperti di pietre sconnesse e grossolane. In al– cU:ni luoghi il pavimento era tutto una buca. Finestre senza vetri o con vetri rotti, prive di serratura ; alcune chiese erano del tutto man– canti di finestre. Porte scardinate, senza chiusura o con serratura del tutto inservibile. Per la chiesa di Chambave, Gressoney, Roisan, Arnad, Arvier ed Issirhe, il manoséritto registra semplicemente : « Ex omni parte rui– nam minatur ». Aperte di giorno e di notte, tali chiese erano ridotte a luoghi di passaggio, di ritrovo per trattare affari, di soste durante viaggi e, a volte, venivano pure visitate volentieri dai ladri. Se tale era lo stato della chiesa, si puo facilmente immaginare a che cosa fosse ridotta la sacrestia : c'era posto pet tutto ... tanto che sovente, il suo era piuttosto l'aspetto di un magazzino. In alcune par– rocchie la sacrestia non esisteva neppure. Inoltre, parecchi campanili minacciavano rovina, altri erano già diroccati, alcuni tenuti in piedi con puntelli molto pericolosi. (192) Ibidem, pag. 114. 6

RkJQdWJsaXNoZXIy NzY4MjI=