BASA
Il problema del male in S. Anselmo 181 nasce dal fatto che la parola « male » significa qualche cosa, mentre si è detto che il male è il nulla, e la stessa parola « nulla » significa qualche cosa, altrimenti non avrebbe senso dire che il male è nulla. « Nulla » vuol dire dunque qualche cosa - e allora siamo in una contraddizione. Bisognerebbe leggere il testo anselmiano per apprez– zare l'acutezza della sua analisi, ma questo non è possibile in una comunicazione orale; mi limiterà quindi ad indicare i momenti es– senziali del discorso. « Nulla », dice il Maestro, significa non-ente (non aliquid); nel suo significato deve percio essere implicito quel– l'aliquid che è negato, corne nel significato di « non-uomo » è im– plicito il significato di « uomo ». Ma il Discepolo non è soddisfatto di questa risposta perché, osserva, cià che è significato dalla parola « nulla » non è quell'aliquid che è negato, ma è proprio la negazione stessa. E allora il Maestro gli fa osservare che talora il modo del- 1'espressione non è il modo di essere della realtà che esprimiamo: Multa quippe dicuntur secundum formam, quae non sunt secundum rem [ibid., p. 250 (21-22)]. Esprimiamo, per esempio, il timore, che è uno stato passivo, col verbo attivo « temere », esprimiamo l'assenza della vista con un nome di cosa: « cecità »; cosl esprimia– mo la negazione coi termini « male » e « nulla ». C'è dunque un modo di essere pensato che non è il modo di essere reale: ci sono, anche se il termine non è anselmiano, entia rationis, enti ideali. Non che il male sia un ente ideale - l'abbiamo detto - ma noi espri– miamo quello stato della realtà che fa orrore al nostro animo, che lo pungola e lo tormenta, corne diceva con maggiore ricchezza espres– siva S. Agostino, con un sostantivo: « male ». Un sostantivo al qua– le non risponde una sostanza. (Forse bisognerebbe sfumare, tenen– do conto di questo discorso, quel famoso realismo nel problema degli universali che è cosl pacificamente attribuito a S. Anselmo, sulla base, non certo disprezzabile, della sua polemica con Roscellino nel De Incarnatione.) Dopo aver accennato all'aspetto logico del problema del male, vediamo quello morale. E osserviamo subito che pet Anselmo il male fisico, quello che Agostino chiama malum poenae, non è sempre una privazione, ma è una realtà positiva: il dolore e la tristezza sono qualche cosa, aliquid, e pet questo li temiamo e detestiamo (De casu diab., c. XXVI, p. 274, 8 ss). Sembra qui che Anselmo, a dif– ferenza di Agostino, non distingua quello che di reale vi è nel do-
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