BASA
Il problema del male in S. Anselmo 183 dell'analisi anselmiana nei confronti della psicologica e poetica de– scrizione kierkegaardiana. Nel De libertate arbitrii Anselmo si è rifiutato di concepire la libertà corne potere di peccare e di non peccare, e l'ha definita invece potestas servandi rectitudinem voluntatis propter ipsam recti– tudinem [De lib. arb., c. III, p . 212 (20)], si che la libertà è tanto maggiore quanto più forte è il potere di serbare la r.ettitudine e quanta minore il potere di peccare, ed « è più libera la volontà che non puà deviare dalla rettitudine di quella che puà abbandonare tale rettitudine » [De lib. arb., c. I; p. 208 (26-27)]. Ma una simile concezione della libertà va incontro all'obiezione che, allo– ra, il peccato non è compiuto liberamente; e se non è compiuto liberamente, l'angelo che è caduto, e l'uomo, hanno peccato neces– sariamente, quindi non possono essere biasimati per il loro atto (De lib. arb., c. Il; pp. 209-210). Insomma se la libertà è solo libertà del bene, corne si spiega la colpa, il male morale? Il problema è già affrontato nel De libertate arbitrii, <love si distingue il libero arbitrio, condizione della responsabilità morale, condizione quindi anche dell'atto peccaminoso, da cià che lo fa li– bero, hoc unde liberum est [De lib. arb., cap. Il; p. 210 (7)], ma è più ampiamente discusso nel De casu diaboli, <love è posta cosi: se nella creatura non c'è nulla che non le sia data da Dio, non si puà imputare ad una creatura il non aver ricevuto cià che Dio non le ha data . Se dunque l'angelo caduto non ebbe da Dio il dono della perseveranza, perché imputare all'angelo corne colpa questo non aver ricevuto? Nella sua risposta il Maestro afferma che il non aver ricevuto è stato un rifiuto da parte dell'angelo: ideo Deus non dedit quia ille non accepit [De casu diab., cap. III; p. 237 (9-10)]. Ma il Discepolo insiste: cur non accepit? [p. 237 (25)]. Il non volere la perseveranza fu un abbandonare la giusti– zia, un voler abbandonare la giustizia; ma che altro voleva l'ange– lo ribelle? Il Maestro aveva fatto un paragone: l'avaro non vor– rebbe mai date un quattrino, ma per aver pane e sopravvivere, deve cedere il quattrino (De casu diab., cap . III; p. 239); ora il discepolo chiede: qual'è il bene per ottenere il quale l'angelo ribel– le abbandona la giustizia? Non ci sono che due specie di beni, risponde il Maestro: la iustitia e il commodum, ossia il bene morale e l'utile [De casu
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