BASA
Il problema del male in S. Anselmo 185 bandonare il valore maggiore. Per tutto cià che è, la volontà è buona: « Inquantum enim voluntas et conversio sive motus vo– luntatis est aliquid, bonum est et dei est» [De casu diab., cap. XX, p. 265 (25-26)]; è male solo pet quel suo non volere la rettitu– dine, per quel suo averla spontaneamente abbandonata: 4 è male, cioè in quanto è un non. Il Discepolo è soddisfatto della risposta: « Credentem me fecisti scire quod nesciens credebam » [De casu diab., cap. XVI; p. 261 (25)]. Ma viene ancora un dubbio al Discepolo, anzi due, 5 prima perà di parlarne, vorrei accennare allo sviluppo che la dialettica iustitia-commodum ha nella terza que– stione del De concordia. Perché la volontà abbandona la giustizia, o perché vien meno la volontà di giustizia? Nel De concordia si parla dell'uomo, ma il problema è quello stesso che si pone per il peccato dell'angelo ribelle. La volontà di rettitudine o di giustizia vien meno, è ab– bandonata, perché un'altra volontà la espelle [De concordia, III, 10; II, p. 278 (25)]. E qui Anselmo distingue tte momenti nella volontà che, aristotelicamente, chiameremo potenza, habitus, atto, e che egli chiama instrumentum, affectio, usus [ibid., III, 11; II, p. 279 (13-14)]. La volontà sttumento, cioè la capacità di volere fa parte della nostra natura, c'è sempre in noi, uguale in tutti gli uomini; la volontà-affezione è quella piega, quell'inclinazione della volontà che esprime il carattere di un uomo, il tipo di uomo, ed è ptesente in lui anche quando egli non la esercita attualmente corne, per esempio, c'è sempte nell'uomo la volontà di esser sano anche quando non compie un atto pet mantenetsi sano o difendere la sua salute. Ma ho detto che la volontà-affezione caratterizza il tipo di uomo perché Anselmo distingue due affezioni fondamentali dalle quali dipendono poi tutte le aitre: la volontà dell'utile (commodum) e la volontà di rettitudine. « Da queste due affezioni, dice An– selmo, deriva ogni merito dell'uomo, sia in bene corne in male». La volontà di essete felici è inseparabile dall'uomo, ma non basta a renderlo felice; la volontà di rettitudine puà invece esserci e non 4 « ... nullus post acceptam iustitiam fit iniustus nisi sponte deserta iustitia » [De casu diab. c. XVIII; p. 263 (28-29)]. 5 Per cià che riguarda il male. Altri dubbi riguardano problemi connessi, corne quello se l'angelo ribelle doveva sapere che sarebbe stato infelice se avesse peccato, e corne si conciliino prescienza divina e libertà urnana.
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