Bibliotheque de l Archivum Augustanim - 01/10/2008

174 Bruno Orlandoni anche di ipotizzare un'ulteriore fase costruttiva, intermedia tra la ricostruzione del castello da parte di Aimone ela campagna di Bonifacio I iniziata nell393. I donjons, nella logica della poliorcetica medievale, dovevano infatti essere strutture isolate. Se si poteva ammettere la loro connessione con cime mura– rie di varia entità e funzione, inammissibile era la loro adiacenza a veri e pro– pri edifici, come, nel caso di Fénis, la connessione al corpo della cucina. È quindi probabile che al momento della prima grande ricostruzione del castello da parte di Aimone di Challand il donjon fosse isolato dagli altri corpi di fab– brica e solo inserito nella grande cima interna ovest. Il cortile del primo castello di Aimone, riassumendo, doveva essere un grande trapezio, fiancheggiato dalle due pareti continue delle ali nord e sud e chiuso al fondo dall'alto muro occi– dentale al cui centra si incastonava il donjon, perno della struttura difensiva. La cucina non doveva esistere ancora e deve essere stata realizzata solo in una seconda fase, intermedia tra quella del primo grande cantiere di ricostruzione di Aimone e quella dei restauri di Bonifacio a fine Trecento. Linesistenza della cucina dà anche una logica alla distribuzione delle porte che connettono il donjon ai diversi vani poi realizzati ai piani del castello. Il tor– rione è oggi fruibile dall'esterno nei suoi tre piani principali, corrispondenti ri– spettivamente allivello del cortile, a quello delle sale del primo piano, e al seconda piano di servizio. Mentre i piani superiori fino allivello del cammi– namento delle caditoie sono accessibili per mezzo di scale lignee interne ai vani, le tre stanze sovrapposte dei livelli inferiori sono sempre accessibili rra– mite due porte: una assiale, collocata approssimativamente al centra della pa– rete este solo leggermente spostata verso destra, l'altra nella stessa parete ma fortemente decentrata verso l'angola sinistro, meridionale della stessa. Basta un'occhiata alla distribuzione in pianta di questa seconda serie di porte - ri– petuta su tutti e tre i piani - per rendersi conto di come non possa trattarsi di aperture previste al momento della progettazione e costruzione della torre, bensl di varchi di fortuna, ricavati ad hoc, in rottura, quando, dopo la costru– zione della cucina e dei vani ad essa sovrapposti, diventava utile avere un col– legamento diretto tra le stanze della torre e quelle del nuovo corpo del castello. Dopo la prima fase costruttiva, col donjon libera e assiale al fondo del cortile (1340 circa),.si dovrà quindi tenere conto dell'esistenza di una seconda fase di trasformazione in cui la parte sud-ovest del cortile era stata occupata dal corpo della cucina (1360-70?) . Questa seconda fase si stava chiudendo al tempo dei restauri di Bonifacio. Le porte a cui stava lavorando maestro Janino si aprivano infatti, come abbiamo visto, "in muro facto per trabersum iuxta magnam coquinam" . Anche qui, pianta alla mano, non sembrano possibili equivoci: l' unica struttura che risponde a questa descrizione, "attraversando"

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