Bibliotheque de l Archivum Augustanim - 01/10/2009

16 Bruno Orlandoni che avremmo ben dovuto immaginare: scopriamo che artisti, artigiani, cano– nici, notai, sindaci della città, membr:i della nobiltà minore, abitavano prati– camente in un fazzoletto di terra di poche centinaia di merri di lato, vicini di casa gli uni degli altri. Piquart e Léaval erano condomini e le loro abitazioni erano racchiuse tra quella del notaio Bonifacio de Villa, il palazzo dei Lo– stan e il forno comitale, di fronte a quella che i documenti chiamano domus picta. Duecento merri più a nord lungo la stessa via stavano i Vaudan e più o meno a metà strada si apriva il vicus mali consilii. Questo, a sinistra, verso ovest, dava sui prati compresi tra la cinta muraria romana e la Tourneuve, residenza di Vincent e Antoine Rulliard; verso destra, verso la cattedrale, pas– sava accanto ad uno spazio vuoto dai tracciato irregolare, circondato da case. Credo che proprio in questo spiazzo, oggi praticamente scomparso, si debba individuare quella che i documenti chiamano platea mali consilii. Ll si doveva trovare la bottega di Jean de Malines, non sappiamo se negli edifici ad ovest della platea, oggi scomparsi, o in quelli a nord. È verosimile che nell'edificio ad est di questo spiazzo, anch'esso scomparso, si debba individuare la casa "retro curam Sancti Johannis" in cui abitava Stefano Mossettaz. Non sappia– mo se anche l'atelier del maestro si fosse trovato nello stesso edificio, ma cio è molto probabile; in tai caso lo scultore aostano/milanese, affacciandosi sulla porta della propria bottega avrebbe potuto tranquillamente chiacchierare con l'orafo fiammingo che lavorava a poco più di dieci merri di distanza, sull'altro lato della piazza. 8.2 UNA DIGRESSIONE SULLE COMMITIENZE: IL PROBLEMA DELLE OREFI– CERIE Tutto cio ali'ombra degli Challant di Fénis ed Aymavilles. La ricostruzione, anche solo in ipotesi, del ruolo sostenuto dai quattro figli di Aimone nella diffusione della miglior architettura e della rniglior arre gotica internazionale in Valle d'Aosta, resta, a mio avviso, la pietra fondante e fondamentale, ineliminabile, per un'adeguata comprensione e valutazione dello splendore raggiunto dalla cultura figurativa della Valle tra il secondo e il quinto decennio del Quattrocento. Cerro le perdite e le dispersioni, sia d'archivio che di rnateriali, sono disperanti, e costringono a rnuoversi a fati– ca nell'infido terreno delle ipotesi, terreno da cui, per altro, non è possibile cavarsi fuori, pena l'illusione di aver attuato ricostruzioni corrette perché do– cumentate, in realtà scorrette perché del tutto parziali. La complessità della situazione e il ruolo di cio che è andato perduto, e insieme il ruolo della ricostruzione delle committenze, nel quadro di una più ampia comprensione del terreno culturale e produttivo del Quattrocento

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