Bibliotheque de l Archivum Augustanim - 01/10/2010
172 Bruno Orlandoni i ricordi di qualche amico che dispone ancora di un nonno memore delle forme più arcaiche dei patois. Cosl, per esempio, i dubbi che mi erano stati esposti da Gabriele Sartorio sulla traduzione di un treponum sulla torre di Châtel Argent, che io - sulla base di un analogo ritrovamento su una torre di Cly- suggerivo di risolvere con "por– ta a botolà', sono stati in parte ipoteticamente sciolti da Roberto Bertolin che mi ha fano osservare come la porta a botola della cantina nel patois di Arnad ancora oggi si chiami "trapa". Che dire poi del termine gamet? Il gamet appare su diversi cantieri e confrontando i contesti è evidente che si trana di una grande corda, appositamente rinforzata per sollevare carichi molto pesanti: una gomena. La mia sorpresa è stata grande quando ho scoperto - del tuno casualmente - che gamal significa gomena anche in aramaico. Alla sorpresa si è aggiunto il divertimento quando un amico che aveva leno una ricerca al riguardo mi ha fano notare che il gamal aramaico è quasi certamente il "cammello che passa perla cruna di un ago" di evangelica memoria. Perché un cammello dovrebbe passare per la cruna di un ago? Certo l'immagine è divenente e piacevolmente surreale ma siamo sicuri che fosse in sintonia con il modo di pensare dell'epoca di Cristo o della successiva redazione dei Vangeli? ln effetti non è per il cammello che sarà più facile passare attraverso la cruna dell'ago, ma per il gama/, cioè per la gomena, per una corda di grande diametro. Corda di grande dia– metro per grandi spostamenti che darà anche il nome ai camalli, i valenti scaricatori e sollevatori del porto di Genova. ln altri termini il felicissimo accostamento tra il cammello e la cruna dell' ago sarebbe solo il frutto di un banale errore di traduzione. 1vuoti lasciati nella struttura del terzo volume da queste rinunce venivano riem– piti dai saggi che chiedevo via via ai diversi amici e colleghi che negli ultimi tempi mi segnalavano loro ricerche su ambiti paralleli ai miei. Mi piace molto l'idea di coinvol– gere nei miei lavori il maggior numero possibile di persone. Da un lato perché i con– fronti arricchiscono sempre qualsiasi operazione di ricerca; da un altro lato perché sono sempre stato fermamente convinto del fatto che la ricerca debba essere un fatto collettivo, non individuale e soprattutto non privato o peggio ancora privatizzato. Il successo ottenuto in date recenti, prima dai forum sulla storia medievale in Valle d'Aosta tenutosi alla Biblioteca Regionale nel mese di aprile 2009, poi dai due giorni di convegno su Giorgio di Challant, nel settembre dello stesso anno, mi paiono una vistosa conferma della sostanziale correnezza di queste mie convinzioni. Da un altro punto di vista è evidente che la ricerca su queste tematiche non è affatto compiuta: non esaurisce le problematiche dei cantieri medioevali in Valle. La pubblicazione del mio lavoro non vuole costituire un punto di arrivo, ma di parten– za, e l'idea di chiudere con una serie di saggi che in un cerro senso rilanciano tema– tiche già affrontate o sfiorate nei due volumi precedenti - spesso correggendo mie ipotesi imprecise quando non del tutto errate- mi piace moltissimo. Soprattutto mi pare che contribuisca a spostare l'attenzione e le valutazioni possibili sul mio lavoro da un rischioso ambito di opus magnum - in quanto tale definitivo - a quello, molto più consona ai miei atteggiamenti e alle mie intenzioni, di work in progress.
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