3 La possibile presenza di colore sulle stele antropomorfe di Aosta Gianfranco Zidda La lettura formale delle stele antropomorfe aostane era sino a ora impostata su elementi scultorei, scolpiti o incisi. La presenza di componenti coloristiche, ottenute verosimilmente con la stesura di pigmenti era ipotizzata ma sino a oggi non ne erano state attestate tracce. A partire dalle indagini di Franco Mezzena, che muovendo dagli iniziali ritrovamenti aostani negli anni ’70 e ’80 del XX secolo ha inquadrato archeologicamente il fenomeno storico, si è proceduto nella lettura delle componenti fisiche e iconografiche con sistemi e tecniche verificabili; il risultato ha dato luogo ad alcune possibilità di ordinamento tipologico e, con cautela, cronologico. Sono state definite, sino a ora, tre forme classificatorie in termini tecnici e stilistici, che sembrano indicare tre concetti costitutivi - costruttivi differenti, ognuno con caratteristiche agevolmente riconoscibili separatamente; non si può escludere siano riconducibili a sostrati e modelli comuni, che dalle sponde orientali del Mar Nero sono diffusi sino a Occidente, toccando quasi tutti i territori per arrivare all’Atlantico. Le opere considerate in questa sede sono intese come la rappresentazione sulla pietra di un’idea di essere/entità di forma umana; in esse è applicato un particolare concetto di trasformazione fisica del soggetto - osservato originariamente nel suo stato reale - mediata dalla componente sostanziale del supporto litico usato per la realizzazione, e insieme di un’astrazione che traspone, delimita e fissa l’immagine di un oggetto chiudendola in una materia che si ritiene immutabile nel tempo. Le stele antropomorfe aostane sono dunque generalmente ritrovate senza nessun particolare elemento indicatore della presenza di toni coloristici, usati per tratteggiare o campire figure sulle superfici. Per diverse ragioni, quali usura, rielaborazione, disuso, demolizione, abbattimento, disfacimento, riutilizzo, modifica della giacitura primaria o secondaria, iconoclastia, abbandono, ecc., sulle lastre, anche provenienti da scavo - e non solo nel caso di Aosta - non è possibile attestare il rinvenimento o il riconoscimento immediato di pigmenti caratterizzanti le facce, plasticamente decorate o no. Si è tentato comunque di valutare se le lastre potessero acquisire impatto visivo grazie a peculiari apparati decorativi bi e tridimensionali, realizzati altresì con l’ausilio di pigmenti coloranti; tuttavia le testimonianze pervenuteci sinora sono scarse, rilevate in forma sporadica e per certi versi isolata. Sono conosciuti i casi delle stele del sud della Provenza, che hanno conservato, negli incavi dei tratti incisi a solco, tracce di colore rossastro o nero violaceo;1 note sono le testimonianze spagnole: le più celebri, come l’idolo di Peña Tú, sono caratterizzate da stesure di ocre dai toni rossi, mentre nella stele all’interno della Tholos di Montelirio sono riconoscibili toni di nero, rosso e bianco.2 Per la mancanza di diretti riferimenti e basandosi su quanto Franco Mezzena ha inizialmente ipotizzato e formulato,3 IL COLORE SULLE STELE ANTROPOMORFE DI AOSTA Sylvie Cheney, Simonetta Migliorini, Dario Vaudan, Gianfranco Zidda, Nicoletta Odisio*, Stefano Pulga*, Nicole Seris* 1. Stele 7 sud. (Frottage F. Mezzena, elaborazione L. Bornaz)
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