Bollettino della Soprintendenza

98 Verso metà ’800 Arthur Schopenhauer scriveva sulle sudate carte, pubblicate dopo la sua morte, alcune riflessioni sull’arte di invecchiare in un volume dal titolo rivelatore Senilia, dal quale emerge con forza una frase: «ho la terribile sensazione che il Nilo stia ormai arrivando al Cairo». Con una semplice ma profonda immagine/metafora il filosofo tedesco coglie ed esprime un forte sentimento in un particolare momento della propria vita, che sta avviandosi inesorabilmente verso la fine. Mi permetto di prendere in prestito questa istantanea di Schopenhauer1 adatta a raccontare qualcosa della mia vita: un periodo certamente meno drammatico e/o definitivo e più “leggero” del suo, ma molto lungo e importante che, in modo analogo, sta evolvendo inevitabilmente verso la conclusione. Si tratta della fine della mia carriera lavorativa presso la Regione autonoma Valle d’Aosta e in particolare nell’organico della Soprintendenza per i beni e le attività culturali. Ma perché il fiume? Perché il corso del fiume rappresenta simbolicamente alcuni significativi momenti della vita. La metafora A partire dalla sorgente in quota, sopra un monte, dove mille rivoli chiari e puri si danno appuntamento, inconsapevolmente ma ineluttabilmente in un solo luogo, alla partenza dell’alveo del vero e proprio corso d’acqua, quasi fossero telecomandati da una forza occulta. Continuando con un percorso che all’inizio è tumultuoso: un regime torrentizio con rapide violente, che precipitano nelle cascate che travolgono tutto e tutti, liberando una grande energia a volte controllata e a volte scomposta, per puntare verso la pianura ancora lontana. Per arrivare alla momentanea quiete dei laghi alpini immersi nei boschi dove le acque rallentano una prima volta, si purificano sedimentando ciò che la grande vitalità espressa in precedenza aveva raccolto e trascinato verso valle, la consapevolezza comincia a farsi strada, in un ambiente incontaminato e la visuale davanti a te del percorso da fare è chiara e limpida. Poi si riprende ripetutamente il cammino con altra forza e rinnovato vigore, sempre diverso, impercettibilmente minore, con pendenze ogni volta inferiori, incontrando altri rivoli, torrenti e fiumi che a volte concedono e condividono la loro acqua e altre volte la prendono, rischiando in alcuni casi di lasciarti in secca. Infine si giunge in pianura, il contesto in questo lungo percorso è cambiato, non è più puro come in montagna. Anche se tutto sommato il cammino fatto è positivo, quanto meno hai indotto fertilità ai terreni fin qui incontrati, poco alla volta l’atmosfera diventa pesante, i fumi provenienti dalla grande città/civiltà si cominciano a sentire e progressivamente inquinano. L’acqua che scorre lenta diventa torbida e in alcune anse si formano paludi, acquitrini e canneti. L’energia scema inesorabilmente ma (per disgrazia o per fortuna) aumenta la consapevolezza del dove sei, cosa fai e dove andrai a breve. Il fiume giunge all’ultima città (“il Nilo arriva al Cairo”), a questo punto con un grande delta si ridivide poco prima di essere accolto nell’immensità e nella serenità del mare. Siamo al termine di un percorso lungo quasi una vita, lo scenario cambia drasticamente, ma rimane ancora la forza di fare un ulteriore tratto più o meno lungo tra i flutti di acqua salata prima di perdere definitivamente la fisicità e l’identità che hanno caratterizzato il tuo viaggio, per andare a mescolarsi e scomparire nella profondità del mare e ricongiungersi con l’infinito universale. La realtà Fin da bambino i mille rivoli della quotidianità, pur avendo percorsi e orientamenti diversi, mi portavano verso la storia e l’archeologia. Infatti, nonostante le mie diverse attività fossero orientate verso la formazione tecnica (per istruzione scolastica, in particolare l’Istituto tecnico per Geometri e non certo il Liceo che non potevo permettermi, per i piccoli lavori che mi adattavo a fare per dare una mano in famiglia, ecc.), inconsapevolmente le letture e gli altri interessi si aprivano a contesti più umanistici, storici e particolarmente archeologici. Anche all’Università, quando si è trattato di scegliere la facoltà compatibile con la mia sfavillante condizione economica, non avendo la possibilità di frequentare Lettere con indirizzo archeologico, ho optato per Architettura, quale materia che tutto sommato poteva avvicinarsi alla mie attitudini. E, guarda caso, mi sono laureato (non senza difficoltà) con una tesi di restauro conservativo sul teatro romano di Aosta. Dopo una breve parentesi lavorativa presso l’Assessorato ai Lavori Pubblici dell’Amministrazione regionale, come assistente contrario a tempo determinato, poi nel 1983 - dopo essere stato assunto in ruolo - per puro caso ho avuto l’occasione, che ho colto immediatamente, di entrare a far parte del gruppo di tecnici qualificati della Soprintendenza regionale e subito dopo sono stato ammesso ufficialmente nell’organico dell’allora Servizio beni archeologici: ricordo ancora, con positiva emozione, la lettera di incarico firmata dal soprintendente che all’epoca era l’architetto Domenico Prola. Questo è stato l’esatto momento nel quale (tornando alla metafora del fiume), la fitta rete di rigagnoli precedenti sono confluiti “magicamente” in un unico alveo e da qui, quasi inconsapevolmente, ho iniziato il mio percorso lavorativo e professionale nel settore del patrimonio culturale. Il viaggio è stato lungo e tortuoso e in alcuni casi tumultuoso (le cascate) ma, in definitiva, assolutamente soddisfacente. La strada, il più delle volte, è stata difficile da praticare anche per gli ostacoli tecnico-amministrativi e BUON LAVORO, BON TRAVAIL E GOOD WORK Gaetano De Gattis

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