Bollettino della Soprintendenza

4 si ritiene che la procedura di figurazione avesse luogo agendo direttamente sulle superfici naturali delle rocce, scelte in base al tono intrinseco alle pietre, sulle quali variazioni (mono)cromatiche erano ottenute attraverso combinazioni binarie di contrasto tra chiaro e scuro (patina naturale versus superfici trasformate con la lavorazione). L’evidenziazione di linee o campiture poteva essere ottenuta con la stesura intenzionale e controllata di materie oleose vegetali o animali, volta a delimitare e riempire zone individuate e prescelte in funzione narrativa. Le sostanze quali oli o burro non danno un tono di colore bensì abbassano o esaltano il cromatismo della pietra nella colorazione a essa connaturata. Considerando in particolare le stele aostane “arcaiche”, nelle quali l’azione scultorea è ridotta a pochissimo (elementari linee incise a solco, con un racconto limitato alla notazione di “bandoliere” o “gonnellini”) e si attiene principalmente alla regolarizzazione dei piani delle lastre di supporto, si può immaginare un intervento - tra molti altri che si possono ipotizzare - volto a variare il tono di base della pietra, che lasciando intatte le condizioni plastiche delle superfici, aumentava o diminuiva l’intensità cromatica, per creare forme oggi perdute in quanto disegnative o pittoriche ottenute con sostanze non durevoli. Una lettura corroborativa ma anche innovativa delle espressioni esornative utilizzate sulle superfici decorate delle stele, è stata proposta dallo scrivente,4 che ha sottolineato la possibilità di decifrazione coloristica non esclusivamente tonale ma anche plastica, differenziata dalle specificità di resa visiva tra superfici opache e superfici brillanti (rispondenti ai concetti oppositivi affermati in diverse culture, come per esempio in quella latina: albus/candidus = bianco opaco/bianco brillante o ater/niger = nero opaco/nero brillante).5 La dualità contrapposta di opaco - lucido è ben riconoscibile nelle stele aostane di tipo “evoluto”. Su una quindicina di queste ultime nell’anno 2019 sono state eseguite nuove serie di analisi non invasive, perché su una delle superfici di alcune lastre erano presenti macchie scure, che lasciavano un po’ d’incertezza di lettura quali componenti intrinseche caratterizzanti la pietra stessa. In seguito alle prove condotte dal LAS (Laboratorio Analisi Scientifiche della Soprintendenza) sulla stele 7 sud - un grande frammento di cui resta solamente una porzione della parte ventrale, comprendente le braccia, la cintura, parti della veste fino al termine della borsa semicircolare (fig. 1) - si è notata nella zona patinata naturale un’accentuata presenza di manganese, che potrebbe ricondurre a un tono nero violaceo (o rosso scuro) sovrapposto a quello della superficie originaria della pietra (si veda infra p. 7). In attesa di future analisi di conferma, potrebbe trattarsi dunque di una presenza di colore utilizzato per far assumere rilievo a figure destinate a evidenziare un concetto narrativo, dando origine a una decorazione molto meglio visibile e contrastata rispetto a quella percepibile oggi. Una simile indicazione costituisce un dato interessante anche per ricostruire le procedure adottate nella realizzazione delle stele antropomorfe. Tale tema, rifacendosi a esempi di metodi ancora in uso nelle tecniche dell’incisione, è puntualmente trattato nel contributo di Stefano Pulga. Ipotesi e considerazioni sui pigmenti Stefano Pulga* 1) Il rosso violaceo rinvenuto sulla stele 7 sud Nel corso del progetto di restauro, i frammenti della stele 7 sud risultano particolarmente interessanti non tanto per il motivo decorativo, comune ad altre stele, quanto per il contrasto rilevabile fra le parti chiare e scure della decorazione, più marcato che in altri casi. Aggiungendo alla luce visibile una porzione di infrarosso diventano evidenti tonalità rosso/violaceo delle zone più scure (fig. 2), mentre in luce radente si osserva che le parti più chiare sono in evidente sottolivello rispetto a quelle scure di circa 1 mm (fig. 3). A queste osservazioni sono seguite analisi quantitative delle componenti chimiche delle superfici (si veda infra p. 7), che hanno evidenziato, fra l’altro, una differenza del contenuto di ferro (Fe) e manganese (Mn) che va dal doppio al triplo fra parti scure e chiare (tabella 1 p. 8). Non viene rilevata la presenza di pigmento sul bordo che limita la parte chiara da quella scura. Questi elementi portano a ipotizzare una sequenza esecutiva così articolata: - sagomatura della lastra nella forma voluta e sua sommaria lisciatura per eliminare le maggiori asperità, questa operazione può essere ipotizzata sulla base delle elaborazioni “a carboncino” e frottages a suo tempo realizzati; 2. Dettaglio della stele 7 sud in luce miscelata visibile/infrarosso. Sono evidenti le tracce di pigmento rosso rimosse con percussione per ottenere il motivo decorativo. (S. Pulga)

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