149 di Enrico di chiamare un pittore affermato e in grado di garantire, anche tecnicamente, un risultato di assoluto pregio si denuncia da subito come atto volitivo di somma consapevolezza estetica, destinato a incrementare apprezzabilmente la bellezza della dimora fortificata su cui già molto aveva investito. Dopo la prima corsiva esperienza figurativa presto abbandonata, egli risulta dunque pronto a farsi carico di un’importante allogazione per rendere l’aula ricca di sfavillanti decori “a fresco”, ed evidentemente con un significativo esborso di denari sia per il lavoro dei pittori che per il rifornimento dei preziosi pigmenti. Poco dopo la metà del secolo, del resto, un’impresa di questa portata non avrà avuto in Valle molti eguali, tenuto conto delle notevoli dimensioni dell’aula e delle superfici piuttosto estese da ricoprire.7 Altrettanto ragguardevole e in linea con le coeve tendenze del gusto cortese doveva peraltro mostrarsi il programma iconografico, del quale davvero poco è possibile dire, se non il probabile riferimento anche in questo caso a temi e soggetti di carattere profano, aderenti alle scelte già operate nel torrione più antico dai predecessori, membri della stessa famiglia.8 L’esistenza di un edificio di culto indipendente, in stretta prossimità, da cui provengono altri frammenti dipinti verosimilmente appartenenti a scene di carattere religioso, potrebbe d’altra parte suggellare l’ipotesi di una netta separazione di funzioni, e quindi di veste decorativa, tra i due spazi. Guardando all’ambito del panorama artistico di riferimento e in quello più vasto legato alla tradizione figurativa lombarda, dalla quale il Maestro di Montiglio e i suoi aiuti sembrano aver tratto maggiore ispirazione, non pare al momento possibile recuperare confronti diretti che riguardino ambienti di ricevimento ornati di vaste narrazioni profane. I saloni di Azzone e Giovanni Visconti, a Milano, si presentano come testimonianze troppo lacunose o evocative per poter essere presi come possibile riferimento, anche se all’epoca l’eco di simili realizzazioni dovette essere notevole, soprattutto per la scelta dei temi rappresentati, siano essi stati a sfondo moraleggiante, influenzati dalla letteratura cortese e cavalleresca, ovvero tratti dalla storia antica.9 A dispetto degli scarsi ritrovamenti, è d’altronde innegabile che la cultura figurativa legata ai cantieri delle dimore viscontee, come anche evidenzia più avanti Bernardo Oderzo Gabrieli, rappresenti il termine di confronto più immediato e pertinente per tentare di comprendere, da un lato, le possibili ispirazioni iconografiche e, dall’altro, le fonti del lessico classicheggiante e illusionistico del pittore di Quart, che si caratterizza per il largo impiego di finti inquadramenti prospettici e per la fedele riproduzione mimetica di particolari architettonici, cornici e modanature.10 Tralasciando quindi il campo delle illazioni per entrare in quello della sfera storica, pare più utile soffermarsi sul profilo dell’illustre sposa di Enrico, Pentesilea di Saluzzo, il cui alto lignaggio e la cerchia culturale di provenienza, nella quale si era dunque formata, sembrano piuttosto elementi da tenere in debita considerazione, soprattutto in rapporto alla forte e poliedrica personalità della madre. Non è forse stato ancora evidenziato a sufficienza, infatti, che Pentesilea era figlia di Riccarda Visconti, il cui padre era Galeazzo Visconti, signore di Milano, e la madre Beatrice d’Este. L’interessante figura di Riccarda, andata in sposa a Tommaso di Saluzzo da cui ebbe almeno undici figli (tra cui, tra gli ultimi venuti alla luce, la nostra Pentesilea), è stata recentemente ricostruita da Beatrice del Bo che ne ha delineato il profilo di “donna di potere” per le azioni ardimentose e valorose compiute, a dir poco inconsuete nella società del suo tempo.11 La vita coraggiosa ed emancipata di questa figura femminile, che nel territorio saluzzese aveva portato la freschezza delle novità lombarde, è stata tramandata da un’importante fonte letteraria, ossia la redazione parigina del famoso componimento Le Livre du Chevalier Errant, opera autobiografica di Tommaso III di Saluzzo degli inizi del Quattrocento. Cresciuta tra lo splendore della corte viscontea, Riccarda si era infatti resa protagonista assoluta delle vicende politiche del Marchesato di Saluzzo, soprattutto nel difficile momento della prigionia del marito e di quella di due dei propri figli. Sul piano culturale, aveva largamente contribuito all’aumento di prestigio della corte saluzzese per le sue colte preferenze in campo letterario, come anche palesa la scelta del nome Pentesilea, regina delle Amazzoni: un evidente richiamo al mondo delle lettere e all’epica incentrata sulle eroine valorose. Difficile stabilire il ruolo di Riccarda nella vicenda del matrimonio della figlia; vedova dal 1357, il 2 agosto 1361 aveva dettato il suo testamento nel Monastero Nuovo di Revello. Il temperamento fiero e coraggioso di questa donna forte tornerà a farsi apprezzare, molti anni dopo, nelle azioni “autoritarie” della figlia Pentesilea, a sua volta protagonista di complicate vicende legate alla difesa del patrimonio fondiario dei Quart, soprattutto a tutela delle proprie discendenti femmine.12 Un numero cospicuo di documenti attesta infatti che, alla morte del coniuge, Pentesilea cercherà di adoperarsi con caparbietà per mantenere le proprietà gravitanti intorno alla giurisdizione del castello di Quart e, soprattutto, per garantire una sistemazione consona per le 1. Prima fase decorativa della Magna Aula (1345-1350). (P. Fioravanti)
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