158 strati di intonaco fine e una stesura del colore più studiata, tra toni di fondo ad affresco e superficiali a secco. I cieli sono uniformemente di azzurrite su veneda, ma a Quart si è indagata anche una diversa stratigrafia, per tonalità chiarissime, in cui l’azzurrite è su intonaco bianco velato di biacca (fig. 16). Le fronde degli alberi sono realizzate con grande minuzia in terra verde a corpo, inizialmente su intonaco nudo (a Montiglio, come per il Noli me tangere di Novara o le pitture dell’arcivescovado di Milano, 13401350, di maestri locali lombardi che guardano ai toscani), poi sul veneda del fondo (a Quart).51 Gli incarnati sono resi con grande varietà sempre più a corpo (fig. 17), modulando il bianco San Giovanni con le ocre per le ombre, con o senza un fondo verde, arrossando le gote e il labbro superiore in vermiglione. Le analisi delle capigliature bionde hanno rilevato una miscela di ocra gialla e massicot. I panneggi sono caratterizzati da tonalità smaltate e preziose, grazie al sapiente uso sia di ocre che di pigmenti minerali quali minio (a Montiglio e a Vezzolano alterato), vermiglione, giallorino.52 Tra le finiture sono i decori dei tessuti, riprodotti dal maestro con grande libertà a mano libera. Foglie lanceolate, motivi a goccia, grappoli di vite, elementi squadrati, rivelano un gusto per i panni tartarici in linea con gli esiti della pittura della seconda metà del Trecento, sia locale, come il Maestro di Tommaso d’Acaia (il drappo d’onore della lunetta di San Giovanni ai Campi a Piobesi) sia lombarda e toscana, tra cui Giovanni da Milano e la bottega dei Cione. L’analisi dei frammenti della Magna Aula restituisce inoltre ornati con lettere, a cui probabilmente allude la scritta in giallorino «AMO», e la presenza di punzonature in corrispondenza di bordi originariamente dorati.53 Ma solo a Quart si registra l’uso di mascherine, per due tipologie di velario dipinto: un primo (fig. 18), bordato di pelliccia, è un manto bruno rossiccio in ocra rossa con ornamenti mistilinei abitati da fiori e foglie in ocra gialla e bianco, impreziosito da finte gemme in azzurro, che richiama i pregiati tessuti di manifattura italiana del XIV secolo, come quello rinvenuto dal fondo della cassa di Cangrande I della Scala;54 un secondo (figg. 12, 19), orlato da caratteri cufici, è su fondo nero, con grandi fiori stilizzati e geometrizzati in arancione (di minio e giallorino) e bianco San Giovanni (dato sull’arancione), di gusto arabo-spagnolo. Le decorazioni a lamina (a Quart si è riconosciuto lo stagno) sono tradizionalmente segnate nei contorni, talvolta impreziositi da incisioni e punzonature (di repertorio e comune fra tutti i cicli di sua mano). Ma vi sono dei casi particolari: a Montiglio le aureole di Cristo sono caratterizzate da inedite bulinature mentre a Vezzolano erano rilievi o inserti polimaterici, per cinture, stelle del cielo, bardature dei cavalli, preziosi e impugnature delle armi, con tracce di foglia d’argento. Così descritta, la tecnica permette di fugare alcuni dubbi di natura stilistica sul resto del corpus. A Vercelli sono della bottega i due riquadri della cappella dell’Annunciata in San Paolo, databili forse dopo la pestilenza del 1362, mentre troppe le discrepanze con le pitture della tomba di Tommaso Gallo in Sant’Andrea, di altra mano.55 Puntuali corrispondenze tecniche giustificano l’attribuzione di ciò che rimane della perduta decorazione nella cattedrale di Susa, databile tra il 1350 ed il 1360, di cui due lacerti in situ (cappella delle Reliquie) e 638 frammenti (in deposito presso il Museo di Anitichità di Torino, di cui parte di un personaggio imprigionato) e, allo stesso modo, dimostrano quanto il Maestro di Montiglio vada distinto da quello di San Domenico a Torino.56 Quest’ultimo è l’autore delle pitture della cappella dei Magi in San Domenico a Torino (1350-1360), di una Madonna col Bambino e due sante nel presbiterio di San Pietro ad Avigliana e di un frammento con un’Annunciata dell’antica cappella gotica alla Novalesa (1360-1370).57 Entrambi sono maestri locali (fedeltà alla tecnica a calce e all’affresco per giornate squadrate), “creati” dal misterioso Giorgio da Firenze ma autonomi rispetto allo sperimentalismo suo, dei suoi allievi (tra cui Jean de Grandson) e del tardo Giotto (pittura a tempera o ad olio su muro): il primo è il più dotato, aggiornato con quanto accadeva in Lombardia in reazione ai giotteschi di fronda, mentre il secondo lavora in maniera ripetitiva ed economica, fa largo uso del repertorio (mascherine per lo più), non varia i partiti decorativi, di gusto più arcaico, ed è grossolano nella definizione dei dettagli anatomici, 17. Maestro di Montiglio, dettaglio di un frammento in luce diffusa e in luce radente. (E. Gianola Fornari) 16. Maestro di Montiglio, dettaglio di un frammento in luce radente, incarnato e cielo azzurro chiaro. (B.O. Gabrieli)
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