164 Lo studio che Luca Mor ha dedicato allo sviluppo dell’arte valdostana tra Due e Trecento, con particolare riferimento alla produzione scultorea lignea e alle sue tecniche esecutive, nell’ambito dell’incarico affidato al ricercatore nel 2017 dall’Ufficio patrimonio storico-artistico, travalica, per valenza dei risultati conseguiti e coerenza nella ricostruzione dei raggruppamenti stilistici, il contesto regionale valdostano per porsi in una dimensione di respiro internazionale. Come ormai ampiamente sottolineato dagli studi rivolti a questo specifico settore, lo spirito di devoto attaccamento alle memorie della fede che ha contraddistinto le genti delle valli alpine valdostane, si è tradotto talvolta in quelle straordinarie azioni di recupero devozionale consistenti nell’inserimento di manufatti lignei medievali all’interno delle macchine d’altare di età moderna o nel ricovero degli stessi in defilate cappelle rurali, garantendo al godimento dei nostri occhi un numero ragguardevole di sculture in legno ascrivibili ai secoli XIII-XV. Sulla scorta delle testimonianze materiali in nostro possesso, la stagione della produzione di opere lignee policrome si apre infatti, in Valle d’Aosta, in una fase di avanzato Duecento, legandosi all’attività di diverse botteghe operanti non solo nel campo specifico dell’intaglio ma anche in quello rivolto alle delicate operazioni del rivestimento pittorico su legno. La proficua collaborazione tra queste diverse competenze, che in qualche caso si sarà pure avvalsa dell’abilità tecnica di altre mani, esperte per esempio nell’esecuzione di preziosi ornamenti d’oro e d’argento per raffinate profilature delle vesti o nella creazione dei serti, necessita ancora di ulteriori approfondimenti, supportati dall’ausilio delle indagini scientifiche. L’attività di questi primi ateliers, documentabile purtroppo solo attraverso l’analisi delle opere, è ravvisabile in almeno una ventina di esemplari di Madonne in trono col Bambino, la cui realizzazione si scala nel corso del secolo, così come nei magnifici crocifissi di Avise e Gressoney-Saint-Jean, che aprono la nutrita serie dei Cristi in croce in scala monumentale. Tuttavia, se da un lato il rammarico si rivolge al loro stato di conservazione e alla deplorevole mancanza, in diversi casi, del prezioso strato di pittura originale, elemento fondamentale per il corretto inquadramento stilistico, dall’altra l’analisi dell’intaglio dei supporti offre l’inedita possibilità di leggere e riconoscere, in un territorio così poco esteso ma storicamente definito, il veloce alternarsi di correnti artistiche di marca gotica, maturate sui cantieri delle cattedrali o presso le corti francesi, o ancora filtrata, in direzione opposta, attraverso le esperienze subalpine o più latamente padane. È quanto emerge dal saggio di Luca Mor, che in maniera del tutto nuova riconosce, in un ristretto arco di tempo che va dal 1280 al 1340 circa, la prolifica attività di diversi maestri d’ascia e dei loro collaboratori, la cui produzione scultorea rappresenta il naturale sviluppo delle prime botteghe. Figure quali il Maestro della Madonna del Museo Civico di Torino e il Maestro della Madonna di La Salle, che aprono la strada al Maestro della Madonna d’Oropa e alla sua bottega, prendono forma e identità grazie al repertorio ragionato delle emergenze scultoree sopravvissute nel territorio valdostano e fuori dalla regione, dando la misura delle richieste di un mercato dinamico ed esigente nel richiedere tipologie diverse di manufatti. Negli ultimi anni, gli interventi di tutela e valorizzazione di questo straordinario patrimonio sono stati oggetto di grande attenzione da parte dell’Amministrazione regionale, che ha investito ingenti fondi sia negli interventi di restauro che nella realizzazione e nella manutenzione dei musei d’arte sacra. Se queste attività degli organi di tutela rientrano chiaramente nei compiti istituzionali, è altrettanto vero che essi non possono in nessun modo prescindere dallo studio scientifico e, quindi, da ricerche puntuali e approfondite come quella presentata in queste pagine, strumento utile per qualsiasi futura azione nel campo. Viviana Maria Vallet Com’è noto, salvo qualche eccezione, in Valle d’Aosta la presenza diffusa di boschi di conifera non solo rappresentò per gli intagliatori un’inesauribile risorsa materiale, in particolare la specie di Pinus cembra chiamata cirmolo, ma storicamente ne incentivò la lavorazione artistica con esiti di grande rilievo nel panorama delle Alpi occidentali. L’entità della scultura lignea medievale aostana e gli influssi culturali transfrontalieri a cui fu sottoposta si sono quindi delineati in maniera più specialistica a partire dagli studi di Elena Rossetti Brezzi e con i restauri degli ultimi decenni, a partire da quelli per le esposizioni di Torino e Aosta che hanno dato un impulso significativo alla valorizzazione di questo genere.1 Tuttavia, le novità fornite dai ritrovamenti inediti o meno noti, anche di collezione privata e ubicazione ignota, come pure le nuove analisi diagnostiche, hanno indotto a un censimento aggiornato di cui il testo in questione è un compendio. Si deve sottolineare che oggetto dell’indagine sono stati soprattutto i principali protagonisti della svolta gotica incarnata dalla produzione plastica in legno tra l’ultimo terzo del XIII secolo e i primi decenni circa del Trecento.2 Alcune delle assegnazioni proposte restano dubitative a causa di ridipinture o manomissioni, ma nell’insieme ciò che emerge è il ruolo dominante di un numero ridotto di botteghe, altamente qualificate e che ebbero modo di avvicendarsi. Le forti pertinenze morfologiche e l’affinità di modulazioni così peculiari nell’orografia degli intagli, infatti, permettono di ragionare su delle prevalenti identità di mano e, attraverso di esse, sulla parabola evolutiva di un lessico SCULTURE GOTICHE IN LEGNO DELLA VALLE D’AOSTA ANALISI CRITICA DI UN CENSIMENTO Luca Mor*
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