168 tema, di conseguenza è opportuno ragionare nei termini cautelari riservati a un’ipotesi di lavoro. Le prime rare fonti in Valle che citano nomi di “mestieri d’arte” risalgono all’incirca alla metà del Duecento e, purtroppo, non si ricavano elementi utili per sondare in dettaglio l’attività degli scultori del legno.27 Si può però congetturare che, parimenti ad altre categorie artigiane, artisti così qualificati fossero sottoposti a una regolamentazione civica o disciplina corporativa in grado di tutelare i requisiti della professione. Questa eventualità sarebbe coerente con la tradizionale gerarchia interna degli ateliers, sia per ottimizzare sotto il controllo del maestro qualità e tempi di esecuzione (dalla selezione del massello alla sbozzatura, dall’intaglio fino alla preparazione in gesso e al completamento pittorico), sia per l’esigenza di preservare l’attività da una generazione all’altra.28 Del resto, la consuetudine di tramandare il mestiere tra membri di un unico nucleo familiare o parentale fu una prassi frequente anche nel Medioevo alpino: si pensi per esempio ai lapicidi campionesi o agli scultori in legno sudtirolesi.29 È altresì plausibile che la produzione si concentrasse principalmente nei centri del fondovalle, in particolare ad Aosta dove avevano sede i maggiori poteri politici, le autorità amministrative ed ecclesiastiche, attorno ai quali orbitavano rendite economiche, commerci e la possibilità di intrattenere contatti culturali di prestigio.30 Ciò non avrebbe affatto impedito agli scultori di muoversi tra i diversi versanti della contea o perfino oltre, chiamati per realizzare opere non facilmente trasportabili o per implementare le proprie commissioni e relazioni al seguito di qualche delegazione di passaggio, ma sono propenso a credere che gli spostamenti accadessero stagionalmente nei periodi più miti dell’anno per fruire dell’agibilità dei valichi di montagna. La cosa ovviamente riguardò pure l’arrivo di maestranze forestiere itineranti e una scultura emblematica è l’interessante San Giovanni dolente duecentesco della parrocchiale di Cogne, scolpito in Valle visto il legno di cirmolo da cui è ricavato e senza dubbio componente di una Crocifissione dispersa che forse avrebbe potuto riecheggiare un modello non troppo differente da quella ora nella cattedrale di Sens (i Dolenti della quale sono dell’inizio dello stesso secolo; il Cristo si colloca attorno al 1260).31 Nel nostro raggruppamento la vocazione transalpina è del tutto pervasiva e si delinea in maniera crescente, sia nel verticalismo della silhouette formale, sia nell’intento di attuare un dialogo armonico tra salda elaborazione plastica dei manufatti duecenteschi e attenzione naturalistica per il dettaglio. Soprattutto negli intagli dell’ultimo terzo del XIII secolo gli artifizi ornamentali sono addirittura impreziositi in sottile rilievo tramite l’ausilio di una stampigliatura a “pastiglia misto cenere”, ancora riscontrabile nelle sculture meglio conservate del Maestro della Madonna di Torino e del Maestro della Madonna di La Salle.32 L’abile espediente doveva generare un effetto semi-lucente a imitazione dell’oreficeria sulle corone sagomate, sulle guarnizioni che profilano gli scolli e sui bottoni delle vesti, ma segni non meno evidenti di questa pratica persistono tra la fine del XIII secolo e il principio di quello successivo anche in una deliziosa opera di bottega del Maestro della Madonna di Oropa, ossia la Madonna in trono ormai priva del Fanciullo acquisita dal Museo Civico d’Arte Antica di Torino (già New York, collezione Hanns Schaeffer).33 Sarebbe del resto pretestuoso immaginare che il maggiore scultore aostano avesse dismesso in modo così repentino una tecnica di elaborata rifinitura formale in auge presso le generazioni artistiche che lo precedettero e con cui forse dovette formarsi. Semmai appare logico che il suo intento di rinnovamento abbia corrisposto a un processo di maturazione, senz’altro di ben altro respiro, ma sempre nel segno di una tradizione che lo avrebbe portato ad avvalersi di una stesura pittorica di qualità superiore, eseguita in punta di pennello e coerente con il descrittivismo insistito dell’intaglio. Basti menzionare le figure e le architetture in bassorilievo del Paliotto d’altare con l’incoronazione della Vergine tra i santi Caterina, Agostino (?), Paolo, Pietro, Orso e Margherita (1300-1310 circa) della chiesa parrocchiale di Villeneuve (ora Torino, Museo Civico d’Arte Antica).34 Tutti gli artisti anzidetti rimangono inoltre fedeli a iconografie consolidate come la tipologia stante della Madonna col Bambino, contraddistinta dal manto che si spiega asimmetricamente verso il basso, quindi suddiviso tra vigorose falde angolari sulla destra e plissettature verticali sulla sinistra. Preminente in tal senso è il debito formale verso le statue-colonna che vigilano le soglie monumentali dell’Île-de-France e gli accostamenti plausibili sono con diversi archetipi illustri: per esempio la Madonna col Bambino sul trumeau del portale settentrionale (1250 circa) di Notre-Dame a Parigi o quella sul portale centrale nella facciata occidentale (1245-1255) di Notre-Dame a Reims.35 Si osservino le similitudini con il sorriso garbato, la gestualità aneddotica e le geometrie modulari, soluzione quest’ultima ripresa puntualmente anche nel perizoma dei crocifissi di Saint-Rhémy e di Fénis. Eloquente è il medesimo schema in scala ridotta applicato nei manufatti parigini di arte suntuaria e, specialmente, in avorio, tra cui al Louvre gli avori della Madonna col Bambino della Sainte-Chapelle (1250-1260 circa) e quello già ricordato dell’ex collezione Timbal (1260-1270 circa).36 Il confronto può coinvolgere significativamente ognuno degli intagli eponimi di Torino, La Salle e, più che mai, Oropa; tuttavia, è necessario ribadire che fino almeno allo scorcio del secolo la declinazione messa in atto nella scultura lignea aostana sarebbe rimasta quasi sorda al disegno ipertrofico del Gotico francese maturato negli anni finali del regno di Filippo IV (1268-1314), divenuto sovrano nel 1285.37 Orientato a recepire con maggiore immediatezza le novità di questa fase, infatti, fu il linguaggio del Maestro della Madonna di Oropa, le cui figure assottigliate concepite con senso grafico rivelano l’abbandono del retaggio arcaizzante e pongono definitivamente le basi di uno stile più personale e aggiornato. Alla luce della gigantesca dispersione di quello che dovette essere il patrimonio artistico medievale originario delle Alpi occidentali, non si può concludere senza l’auspicio che il prezioso nucleo di sculture lignee, indicate nel repertorio ragionato allegato, possa ampliarsi in futuro con ulteriori aggiunte e alimentare un rinnovato impulso per lo studio dell’arte gotica aostana e dei suoi antichi protagonisti.
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