Bollettino della Soprintendenza

192 La Mostra di Arte Antica svoltasi a Torino nel 1880 aveva visto la Valle d’Aosta uscire allo scoperto con i suoi tesori artistici e le sue bellezze architettoniche, riprese anche nell’esperimento del Borgo medievale di Torino del 1884; poco meno di vent’anni dopo le si presenta nuovamente la possibilità di farsi conoscere e apprezzare. Joseph-Auguste Duc, già vescovo nell’esposizione precedente, non perde quest’ulteriore occasione, ma sembra aggiustare il tiro, privilegiando opere del territorio meno note e lasciando in sede addirittura un pezzo prestigioso come la cassa reliquiario di san Grato, che invece aveva prestato per la mostra precedente. Un atteggiamento da leggere in relazione alla nascita degli organi di tutela e ai primi passi mossi nel campo della salvaguardia del patrimonio storico, in un momento in cui la fama dei collezionisti non sempre volgeva in positivo. Tuttavia, la prudenza del vescovo non è sufficiente a mascherare il suo duplice ruolo, di prelato da un lato e di collezionista, dall’altro, proprietario del messale 43 della collegiata dei Santi Pietro e Orso che egli presta per la mostra dei codici, una delle imprese più ambiziose e moderne di tutta l’esposizione. Nonostante i suoi stretti rapporti con i membri della commissione della mostra e con i sovrani che appoggiavano la manifestazione, monsignor Duc attira su di sé pesanti critiche, alimentate in parte dal cugino François-Gabriel Frutaz, con cui non era mai stato in buoni rapporti. La parabola del vescovo era del resto in caduta libera, mentre nuovi scenari si prospettano: poco dopo Frutaz verrà infatti nominato ispettore dei monumenti e un grande studioso di Storia dell’Arte come Pietro Toesca si spingerà ad Aosta per compilare il Catalogo degli oggetti artistici del capoluogo. La Valle non rimane quindi esclusa dal censimento ministeriale, segno indiscutibile del fatto che ormai il suo patrimonio, grazie anche alle esposizioni che lo avevano portato alla ribalta, era ritenuto degno di essere studiato e valorizzato. Con un occhio sempre attento al dato documentario, di cui spesso si serve, Daniela Platania ricostruisce un inedito spaccato del patrimonio valdostano e dei suoi attori sullo scorcio dell’Ottocento, aprendo in questo caso anche un capitolo su aspetti più legati all’etnografia e alla vita quotidiana della gente di montagna attraverso il contenuto esposto nella “casa valdostana”. Sullo sfondo di equilibri politico-religiosi su scala nazionale, in questa sede l’autrice porta l’attenzione su alcuni personaggi che si intrecciano con il vescovo Duc e con il patrimonio artistico valdostano. Tra questi: la famiglia Scala, il canonico Dominique Noussan, Piero Giacosa, Vittorio Avondo, Alessandro Baudi di Vesme, l’architetto Carlo Ceppi e Antonio Taramelli, per citarne solo alcuni. Un ruolo un po’ sfumato spetta invece all’Accademia di Sant’Anselmo, sebbene non manchino interessanti proposte di riconoscimento di alcune opere in mostra. La conclusione fondamentale a cui si arriva leggendo questo articolo è che l’esposizione del 1898, grazie a un ordinamento della mostra di arte sacra calibrato da personaggi di altissimo livello, ha di fatto contribuito alla coscienza del valore della Storia dell’Arte come materia da studiare, mostrando a tutti che i tempi erano maturi per la nascita di una prima cattedra universitaria che infatti vedrà la luce nel 1901 a Roma. Il XX secolo aprirà le porte a manifestazioni ancora più specialistiche e mirate al patrimonio locale da tutelare, ma per questo la Valle d’Aosta e il Piemonte dovranno aspettare gli anni Trenta del Novecento e l’attenta regia di Vittorio Viale. Viviana Maria Vallet LA PARTECIPAZIONE DELLA VALLE D’AOSTA ALL’ESPOSIZIONE NAZIONALE E D’ARTE SACRA DI TORINO DEL 1898 Daniela Platania* 1. Ricordo dell’Esposizione Nazionale e d’Arte Sacra, 1898. Frontespizio.

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