193 Accenni al contesto generale «Un prodige d’audace et une heureuse affirmation des sentiments de foi et de la culture artistique de nos populations subalpines»: sono queste le parole che il canonico François-Gabriel Frutaz, futuro ispettore onorario degli scavi e dei monumenti della Valle d’Aosta, spende per definire l’Esposizione d’arte Sacra, delle missioni cattoliche e delle opere di carità cristiana.1 L’affermazione viene pronunciata durante la conferenza dal titolo L’art chrétien dans la Vallée d’Aoste che Frutaz presenta il 4 ottobre 1898 al pubblico torinese, quando manca poco più di un mese alla grandiosa chiusura dell’Esposizione Generale Italiana, impresa titanica che ha portato la città di Torino alla ribalta per quasi tutto l’anno (l’esposizione inizia il 1° maggio e chiude il 10 novembre 1898 in maniera faraonica così come si era aperta, fig. 1). In questi mesi si avvicendarono, con una programmazione serrata, concorsi, concerti, corsi a tema, presentazioni ufficiali, conferenze, premiazioni, mostre temporanee, feste, banchetti e altri eventi collaterali che resero il 1898 un anno memorabile per la città di Torino.2 In particolare, la conferenza di Frutaz sull’arte cristiana in Valle d’Aosta rientra nel fitto programma di iniziative che faceva da corollario alla mostra d’Arte Sacra, inserita a sua volta all’interno della più vasta esposizione a carattere religioso, simbolicamente parallela all’Esposizione Generale. L’idea nasce e si sviluppa infatti rapidamente come una sorta di tattica alternativa cattolica da accorpare al resto della manifestazione politica: una risposta religiosa ai festeggiamenti civili, che tuttavia aveva un’ambizione per certi versi maggiore. Se infatti l’Esposizione Generale voleva ricordare il centenario dello Statuto, quella di arte sacra poteva vantare una storia di molti centenari da festeggiare per il mondo cattolico (fra questi, i quattrocento anni del Duomo, la costituzione di due confraternite, il Concilio del 348). Inoltre la prevista ostensione della Sindone, coinvolgendo i sovrani, fungeva da ulteriore strategico collante fra le due iniziative, unite simbolicamente e concretamente anche dal cosiddetto “ponte della concordia”, a cavallo di corso Massimo d’Azeglio (fig. 2). L’opera è stata realizzata a collegamento delle due sezioni dell’esposizione, quella laica e quella religiosa, da uno stretto collaboratore dell’architetto Carlo Ceppi, Costantino Gilodi.3 La Valle d’Aosta si era distinta in vari modi nella mostra del 1880 e, ancora di più, nell’esposizione del 1884, dove la sezione dedicata al Borgo medievale aveva presentato la ricchezza del patrimonio valdostano e in particolare dei suoi castelli.4 La partita si giocava adesso su scala allargata e su un doppio registro cattolico-politico, con una consapevolezza diversa nata dai prodromi degli eventi sopra citati. Raccolgono il testimone molti componenti effettivi già del comitato della mostra del 1884, tutti personaggi che potevano garantire un nuovo riconoscimento alle bellezze valdostane: a partire da Tommaso Villa, presidente di questo comitato e di quello dell’esposizione di quattordici anni prima e dal barone Ernesto Balbo Bertone di Sambuy, a capo dell’organizzazione della mostra del 1880, nel comitato di quella del 1884 in quanto sindaco di Torino, e ora vice presidente.5 In questa occasione, però, la forza promotrice decisiva arriva dalla 2. Ponte della concordia, Cavalcavia del corso Massimo d’Azeglio. (Da “L’Esposizione Generale Italiana e d’Arte Sacra. Rassegna popolare illustrata”, n. 2, 1898, p. 9)
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