195 del vescovo di Aosta dell’arcivescovo Agostino Richelmy, presidente generale dell’Esposizione.7 I rapporti tra l’imminente manifestazione di stampo cattolico e la Valle d’Aosta clericale erano assicurati anche dal ruolo dell’avvocato Stefano Scala, amico e collaboratore di Ghirardi, nonché voce giornalistica cattolica di spicco e membro del comitato per la mostra di Arte Sacra. Discendente dell’omonima famiglia che nel XVIII secolo risiedeva a Châtillon e con la quale il vescovo Duc era da sempre in stretti rapporti, presenzia ai festeggiamenti per il giubileo episcopale pronunciando un’orazione che paragona l’episcopato del vescovo di Aosta a un concerto dalla perfetta armonia.8 Un discorso a parte merita infine il legame che JosephAuguste Duc strinse con la regina Margherita di Savoia, come testimonia la corrispondenza che i due personaggi si scambiano dal 1893 al 1907;9 quasi un sodalizio, favorito dai buoni rapporti con il vescovo, tra la sovrana e la Valle d’Aosta che la frequenta in estate (celebre il suo soggiorno al castello di Sarre nel 1880), prediligendo Gressoney, dove verrà costruito il suo castello a partire dal 1899, a circa un anno di distanza dalla fine dell’esposizione. Dal canto suo, il re Umberto I aveva nominato il vescovo comandante dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro proprio nel giorno dei festeggiamenti per il suo giubileo.10 Il re e la regina sono i personaggi cardine della manifestazione del 1898 a stampo politico e la loro frequentazione con il prelato contribuisce ad affermare la presenza valdostana alla mostra e a darle un significato tutt’altro che marginale, profondamente intrecciato con il mondo religioso locale di cui in quegli anni Joseph-Auguste Duc era protagonista indiscusso. I presupposti perché la Valle d’Aosta potesse a sua volta garantire un appoggio fattivo all’esposizione sembrano a questo punto una logica quanto spontanea conseguenza di frequentazioni consolidate nel tempo. Segni tangibili dell’affermazione del ruolo del vescovo sono espressi concretamente nella presenza del suo stemma sulla facciata dell’edificio della mostra di Arte Sacra e nell’immagine che lo ritrae con gli altri esponenti del clero a sorreggere simbolicamente la sindone11 (fig. 4). In occasione dell’ostensione, Duc è invitato personalmente da sua maestà e siederà a sinistra dell’altare nella cappella della Sindone, di fronte ai reali.12 Gli edifici della mostra La mostra generale italiana era dislocata nel parco del Valentino e dal castello comprendeva una vasta area a forma di quadrilatero che si spingeva fino al ponte Isabella (fig. 5). L’ingresso era stato studiato perché fosse su corso Raffaello, con la collina a fare da sfondo. Una volta sotto l’atrio principale si ha la prima divisione: a sinistra l’edificio delle Belle Arti, con opere di pittura e scultura, e al fondo il salone circolare per i concerti; a destra le industrie manifatturiere, estrattive e chimiche, la galleria dell’Elettricità, le sezioni Marina e Guerra, Degustazione, Meccanica di Locomozione, Agricoltura e Arti liberali. Di fatto la parte più ampia e grandiosa della manifestazione, realizzata con gallerie monumentali sotto i cui archi erano disposti i padiglioni delle singole attività pratiche. Dalla galleria della Previdenza, scelta significativa e ragionata in un’ottica di condivisione tra le due anime della mostra, si accede, attraverso uno scalone, al Ponte della concordia, il cavalcavia panoramico che conduce all’Esposizione di Arte Sacra, l’unica a essere posizionata dall’altro lato del corso Massimo d’Azeglio. L’area aveva un perimetro abbastanza vasto, ma di certo molto inferiore alla sezione “laica” dell’Esposizione Generale; l’edificio per la Mostra di Arte Sacra Antica - Moderna - Applicata occupava lo spazio maggiore, mentre si affacciavano sul giardino le altre costruzioni che ospitavano le Missioni d’America, di Terra Santa, dell’Impero ottomano, d’Africa e d’Asia. Completavano l’insieme la casa dei missionari, il panorama della passione di Gesù, alcune botteghe, il gabinetto di scrittura e due ristoranti (fig. 6). L’edificio per la mostra di Arte Sacra era a tutti gli effetti il più ampio, dotato di un chiostro interno e di due piccoli cortili, realizzato dall’architetto Ceppi e dai suoi collaboratori in stile eclettico. Sulla facciata dell’edificio campeggiavano gli stemmi dei vescovi che in qualche modo avevano partecipato all’iniziativa e fra questi non poteva mancare il blasone di quello di Aosta, Joseph-Auguste Duc (fig. 7). La casa valdostana Nel recinto dell’esposizione, poco lontano dal castello medievale sorgevano la casa della Valsesia e quella valdostana (fig. 8), quest’ultima realizzata grazie all’iniziativa di un comitato il cui presidente era l’avvocato Chabloz, sindaco di Aosta. Facevano parte del direttivo anche Luigi Bich, presidente del comizio agrario, il canonico Noussan nella sua veste di vice presidente del comizio, F. Viale, presidente del circolo commerciale e l’ispettore forestale Della Valle. Sembra che l’idea di partecipare a questo importante appuntamento sia di Lugi Bich, il quale voleva ricreare un vero “microcosmo valdostano” con due chalets attorniati da pini giganteschi e il personale vestito con i costumi tradizionali delle vallate. Il consiglio comunale di Aosta approva la proposta all’unanimità stanziando la somma di 500 lire e promettendo il più ampio appoggio morale e il concorso generale di altri comuni della Valle.13 L’entusiasmo era palpabile e questa sezione si presentava come un degno contraltare dell’immagine valdostana che sarebbe emersa dalle raffinate opere di stampo religioso scelte dal vescovo Duc per la mostra di Arte Sacra: una sorta di risposta laica che doveva mostrare le molte facce della Valle d’Aosta, con il canonico Noussan a fare da trait-d’union tra le due anime della mostra in quanto, oltre a essere vice presidente del comizio, è nipote del vescovo Duc, collezionista e futuro presidente dell’Accademia di Sant’Anselmo. A lui scrive il 30 luglio 1898 il direttore della sezione della Valle d’Aosta per l’Esposizione Generale di Torino, signor Amato Derriard (fig. 9), proponendo l’acquisto di 6.000 copie al prezzo di 10 centesimi ciascuna dell’elegante “Rassegna popolare illustrata dell’Esposizione Generale Italiana”, di otto pagine, che accompagnava la manifestazione dal suo inizio. Il numero sarebbe stato interamente dedicato alla mostra valdostana e avrebbe avuto 1.000 centimetri quadrati di clichés realizzati dal rinomato stabilimento artistico Vittorio Turati di Milano che avrebbe ripreso gli edifici all’interno e all’esterno: «gli artisti, gli industriali, i commercianti, gli agricoltori valdostani potrebbero così largamente far conoscere i loro prodotti mediante una piccola spesa, quotandosi in relazione all’importanza degli oggetti esposti».14
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