199 Il progetto della casa valdostana è stato realizzato dall’ingegner Camillo Boggio, il quale ha disposto l’edificio su due piani, con una balconata in facciata; al piano terra sono esposti oggetti in legno di uso domestico realizzati da un certo Pecco, manufatti in cuoio e delle piccole sculture della Scuola delle industrie aostane, alcune lavorate sul posto da volenterosi alunni che mostrano la loro perizia cimentandosi con scatolette, porta orologi, saliere. Una parte di questo piano è poi dedicata all’aspetto agro-alimentare: semi e frutti, pannocchie di grano turco, burri, formaggi, mieli e patate dimostrano che bisogna avere fiducia «nel nostro avvenire agricolo e nell’educazione dei coltivatori».15 Sempre il pianterreno ospita un rilievo della conca di Courmayeur e il grande scenario del ghiacciaio del Monte Bianco, opera di Tavernier. Non manca una sala per le degustazioni di vino, in particolare si loda il “clairet” di Chambave. Salendo al piano superiore, sono state posizionate delle bacheche per contenere la flora del Piccolo San Bernardo raccolta a 2.200 metri dall’abate Chanoux, accompagnata dall’erbario compilato dai dottori Pavarino e Vaccaro. Alle pareti sono presenti riproduzioni in legno dei monumenti più antichi della Valle d’Aosta: fra questi, la porta Prætoria, il castello di Bramafan, il castello di Aymavilles e l’arco d’Augusto. Intorno si possono ammirare fotografie di alta montagna di Vittorio Sella e il plastico della regione del canonico Vescoz. Quando la mostra valdostana non era ancora del tutto allestita, a differenza delle case della Valsesia che erano invece già pronte, un articolo della rivista “L’Esposizione nazionale del 1898” rende omaggio proprio al Vescoz definendolo «figura ascetica e simpatica», «uno studioso amoroso di geografia» e un «artista e scienziato».16 La Valle di Cogne partecipa con i suoi famosi dentelles, i ricami finissimi realizzati al tombolo, mentre l’Ispettorato forestale presenta alcune piante tipiche di questa terra e una nutrita collezione mineralogica con quarzi e piriti in prisma. Anche le attività tipografiche vogliono il loro spazio: sono esposte le pubblicazioni dell’editore Luigi Mensio e i libri di autori quali Frutaz, Wuillermin, Giacosa, Casanova e Vaccarone. Un articolo comparso nella “Rassegna popolare illustrata” a firma di Federico Ravelli, oltre a raccontare nello specifico il contenuto della casa valdostana, sancisce la superiorità di questa mostra a scapito di quella della Valsesia: «questa seconda mostra regionale, a dire il vero, appare al visitatore molto più dilettevole ed interessante di quella della Valsesia, sia per la maggior ampiezza del locale, sia anche ed ancor più per la maggior quantità ed importanza degli oggetti e dei prodotti esposti, il che trova naturalmente la sua diretta ragione nella maggiore vastità ed importanza della regione che qui viene rappresentata».17 L’apice dell’apprezzamento lo si raggiunge con la gita in Valle d’Aosta di un gruppo di giornalisti che, avendo visitato la mostra, sono curiosi di immergersi nel vivo delle bellezze della regione: parte quindi una sorta di tour esplorativo per la valle che viene raccontato in maniera entusiasta dal giornalista F. Musso, senza lesinare complimenti al territorio tutto e ai suoi aspetti multiformi.18 La Valle d’Aosta, quindi, nel 1898 si è fatta conoscere e apprezzare anche sotto l’aspetto etnografico, mostrando usi, costumi e antiche memorie della vita quotidiana di montagna. La mostra di Arte Sacra La sezione d’arte antica e i membri del comitato Per l’esposizione del 1898, il barone Antonio Manno riveste il ruolo di presidente del Comitato esecutivo d’arte sacra; con Vincenzo Promis, nel 1884, aveva pubblicato la Bibliografia storica degli Stati della monarchia di Savoia ed il nome di Vincenzo Promis deve essere ricordato in questa sede anche per il suo ruolo nella mostra del 1880, quando venne in Valle d’Aosta a scegliere le opere da esporre in quell’occasione.19 Responsabili della sezione di storia e archeologia della Mostra di Arte Antica erano stati nominati, fra gli altri, Alessandro Baudi di Vesme (direttore della Regia Pinacoteca di Torino), Francesco Carta, bibliotecario capo della Biblioteca nazionale di Torino, Ernesto Bertea, regio ispettore degli scavi e dei monumenti, Antonio Taramelli, dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria e Vittorio Avondo.20 Quest’ultimo deve essere stato il vero deus ex machina per i pezzi aostani, esposti nella sala K dell’edificio di Ceppi: Avondo infatti frequentava la Valle dagli anni Sessanta dell’Ottocento e sulla scia di quest’interesse comprò il castello di Issogne nel 1872.21 Già all’epoca della mostra del 1884 a Torino aveva svolto per il Borgo medievale un ruolo di assoluto primo piano che gli consentirà di essere immediatamente coinvolto nelle scelte per l’esposizione del 1898 (in particolare per gli oggetti di culto e i quadri antichi), entrando anche a far parte del comitato della rivista “Arte Sacra”, sotto la direzione di Giovanni Battista Ghirardi. La sua profonda conoscenza del patrimonio artistico piemontese e valdostano e la sua professionalità, del resto, lo avevano portato ad assumere, nel 1890, la direzione del Museo Civico di Torino. Le opere valdostane nel Catalogo di arte sacra In una sorta di prefazione al catalogo, datata agosto 1898, si giustifica l’uscita in ritardo del volume (fig. 10), che comunque viene dato alle stampe quando la mostra è ancora aperta e non, come spesso accade, alla fine dell’esposizione.22 Le scuse e le giustificazioni non devono sembrare superflue se per un ritardo inferiore, all’epoca della mostra del 1880, il curatore della sezione di archeologia, il maggiore Angelo Angelucci, aveva scatenato una pesante polemica nei confronti del redattore e aveva dato alle stampe due volumi con sferzanti critiche ai commenti in catalogo.23 In realtà, la grossa pecca del libro, più che il momento in cui ha visto la luce, è la mancanza dell’apparato fotografico degli oggetti in mostra, che lo avrebbe reso un’opera davvero moderna e aggiornata oltre che una preziosa fonte di informazioni, utile a segnare un radicale scarto rispetto al catalogo del 1880.24 Tuttavia, grazie alla pianta dell’esposizione (fig. 11) è possibile tentare di ricreare quanto meno mentalmente la distribuzione degli oggetti all’interno delle sezioni: dopo essere passati dal chiostro (dove sono esposti calchi, sculture, bassorilievi e ceramiche, fig. 12), si procede attraverso le sezioni C, D ed E di arte applicata e musica; la stanza F ospita l’architettura e le arti decorative (fig. 13), mentre le sale G e H sono dedicate ai codici antichi e ai corali. La Mostra di Arte Antica si sviluppa nello stanzone rettangolare con la lettera K in fondo all’edificio, suddiviso in altri
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