201 tre spazi (di cui solo uno delimitato), sui quali si affaccia la piccola sala L. Qui erano esposti circa 119 quadri antichi (compresi gli album di fotografie), mentre il contenuto dell’attiguo salone K era ben più eterogeneo e ricco come numero di pezzi. Il catalogo, sotto la denominazione di «Arte Antica» inserisce stoffe, oreficerie, bronzi, avori e lascia intendere che la scelta fosse ancora più vasta, per un totale di circa 770 oggetti. Non sempre le suddivisioni sono delimitate chiaramente: la commissione pertanto scrive, nel breve preambolo introduttivo alla sala, che «per l’incertezza e il ritardo nelle spedizioni degli oggetti della presente Sezione la Commissione d’Arte Antica non poté interamente seguire nell’ordinamento e nella disposizione quei metodi e sistemi che avrebbe voluto adottare».25 Emergono comunque i gruppi principali, divisi tra reperti archeologici, smalti e avori nella prima sezione della sala K, oggetti misti e di vario genere nella sezione II, pizzi e stoffe nella sezione III, assieme ai ricordi storici. La rivista “Arte Sacra” si sofferma, attraverso la penna di Antonio Taramelli, sugli «oggetti del culto» citando, per Aosta, il dittico, la cassetta reliquiario di Villeneuve, il calice di Sant’Orso di Aosta, l’ostensorio architettonico della parrocchia di Châtillon, i tessuti ricamati della cattedrale e di alcune cappelle valdostane.26 Taramelli entra maggiormente nel merito del cofanetto di Villeneuve, di cui elogia la bellezza degli smalti, e si sofferma anche sul calice di Sant’Orso definendolo molto diffuso in Francia, territorio a cui la Valle d’Aosta fa riferimento in quanto «provincia straniera […] dal punto di vista linguistico e dell’arte»;27 anche dei due bracci reliquiari di san Grato provenienti dalla cattedrale e da Sant’Orso, Taramelli fornisce una descrizione sommaria segnalando la diversità fra le due basi, ma collocandoli nello stesso periodo temporale e indicandoli della stessa mano. Parole di lode spende inoltre per la fibula con cammeo del Tesoro della cattedrale e per il suo astuccio, così come rimane colpito dalla custodia in cuoio impresso della croce di Rhêmes-Notre-Dame, più che dalla croce stessa. Sensibile alla raffinatezza della mazza della prevostura di Saint-Gilles a Verrès, ricorda infine l’importanza delle due casse reliquiario di san Grato e san Giocondo (che non sono andate in mostra), come esempi di opere rimaste nella loro sede a testimoniare la fede dei valdostani, dal momento che le ricchezze artistiche della Valle d’Aosta «per varie ragioni hanno in gran parte preso il volo per altri lidi».28 Per avere ulteriori rimandi puntuali ai prestiti valdostani, occorre riferirsi al catalogo del 1898; queste le opere presenti in mostra (le pagine segnate sono quelle di tale catalogo): - Fotografie della chiesa del Piccolo Seminario di Aosta (fratelli Artari, Aosta), p. 41. Diverse campagne fotografiche erano state promosse in occasione dell’Esposizione nazionale, dimostrando un’attenzione sempre crescente nei confronti delle nuove tecniche di riproduzione applicate ai monumenti e alle opere d’arte in generale;29 fra queste, dovevano esserci molte immagini della Valle d’Aosta e dei suoi tesori, ma purtroppo i cataloghi e le riviste dell’epoca non scendono nei particolari e non è quindi facile capire esattamente quali immagini siano andate in mostra. In questo caso la campagna non presenta dubbi: si tratta del Piccolo Seminario di Aosta, di cui monsignor Duc nel 1888 iniziò la costruzione sui resti del convento dei Cappuccini. L’edificio, intitolato a sant’Anselmo, aprì le porte il 27 ottobre 1890, con una cerimonia ufficiale. La cappella in stile neogotico viene dipinta dai fratelli Artari e la mostra di Arte Sacra è un palcoscenico perfetto per mostrare al pubblico non solo una delle tante attività di questi fecondi artisti, ma anche l’ennesima iniziativa del vescovo Duc, che non perde occasione per mostrare la sua intraprendenza.30 - Piviale in velluto cremisi broccato d’oro con stolone e cappuccio in ricamo a figure, p. 113. Si tratta del piviale conservato nel Tesoro della cattedrale di Aosta (fig. 14), ritenuto nel catalogo del 1898 «dono del vescovo Antonio De Pratis» e lavoro spagnolo datato alla fine del XV secolo:31 interessante notare che nella rivista “Arte Sacra” si ricorda che, due anni prima, lo stesso piviale è stato prestato alla mostra eucaristica di Orvieto insieme con altre opere del Piemonte nella speranza «di cattivarsi gli animi degli orvietani e degli umbri in genere» per «avere sulle rive del Po alcuno di quegli splendidi prodotti d’arte che rendono superba l’opera del Duomo […] e le altre chiese d’Orvieto». Tuttavia, la buona volontà dei piemontesi non è stata ripagata con analogo altruismo e alla mostra di Arte Sacra di Torino l’Umbria non viene rappresentata: il clero e le confraternite umbre, infatti, non erano disponibili ai «lunghi viaggi ed ai trasposti di materiale sacro» adducendo problematiche legate alla conservazione dei pezzi.32 In ogni caso, questo episodio dimostra la straordinaria quanto precoce fortuna critica di questo piviale, che già nel 1896 era uscito dalla Valle d’Aosta per essere apprezzato nel centro Italia; legittimo è il dubbio che questa scelta sia stata dettata dalla consapevolezza di operare un confronto pertinente tra il piviale e le opere in mostra a Orvieto dal momento che la tipologia dell’Annunciazione 13. La sala dell’architettura - (Sala F). (Da “Arte Sacra”, n. 17, 1898, p. 136)
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