54 Il primo sopralluogo sul sito, localizzato pochi chilometri a monte di Charvensod, avviene tra il 2017 e il 2018 ad opera del geologo Paolo Castello accompagnato sul luogo da Eusebio e Faustino Impérial, cui si deve la prima segnalazione: in questa occasione si riscontra la presenza di una parete rocciosa di calcare travertinoso con consistenti evidenze antropiche. In seguito ad altri sopralluoghi, eseguiti da Castello e da Dante Marquet insieme a chi scrive, viene identificato un vero e proprio fronte di cava con segni di attività estrattiva. Si tratta di una parete verticale dalle dimensioni, per ora parziali, di 30 m circa di lunghezza per 8 circa di altezza, che si dispone con orientamento complessivo est-ovest, a quota 1.000 m s.l.m. circa (figg. 1-2). Il sito esibisce tracce di lavorazione particolarmente leggibili soprattutto lungo i settori laterali, principalmente quello orientale. Lungo tutta la parete sono ben visibili incisioni orientate quasi esclusivamente in maniera obliqua e disposte con andamento incrociato su piani pressoché paralleli oppure parzialmente sovrapposti (fig. 3). Ad una prima analisi autoptica sembra di poter ricondurre la maggior parte delle tracce all’utilizzo di un solo tipo di utensile per la coltivazione in cava: morfologia e larghezza di questi segni, tra 1 e 5 cm circa, li rendono compatibili con l’uso di attrezzi tipo martellina o piccone. In corrispondenza del settore occidentale è quasi impossibile abbozzare un primo tentativo di riconoscimento del negativo lasciato dall’estrazione dei singoli blocchi. Diversa è invece la situazione lungo il fronte centrale e orientale ove sono facilmente distinguibili le evidenze di una coltivazione a gradoni, anche se di modeste dimensioni. In particolare in due punti (figg. 4-5) si rilevano tagli regolari corrispondenti all’estrazione di singoli blocchi di dimensioni diversificate con lunghezza variabile tra i 50 e i 100 cm, larghezza e altezza tra i 30 e i 40 cm. Sembrano assenti, per ora, eventuali tracce che possano suggerire l’utilizzo di cunei funzionali al distacco dei blocchi per frattura orizzontale. Da segnalare una concavità piuttosto estesa presso la parte est, con segni di asportazione di materiale in corrispondenza di due “nicchie” apparentemente artificiali (fig. 6) e, verso il centro della parete, alcuni fori di forma subquadrata a 3-4 m di altezza circa, forse funzionali all’alloggiamento di un ponteggio ligneo. Ad una quota leggermente superiore è stato possibile rilevare almeno altri tre fronti di lavoro dalle dimensioni molto contenute probabilmente in continuità con la parete principale sottostante. Di particolare interesse risulta una sorta di motta ai piedi della parete, con tutta probabilità formatasi per il progressivo accumulo dei residui delle operazioni di estrazione e lavorazione. Appurato lo stato del sito e riscontrata la sicura e consistente presenza di tracce antropiche, anche se ancora prive di una cronologia definita, sarebbe ora importante riuscire a determinarne il potenziale storico-archeologico. Ad alcune operazioni preliminari e indispensabili, in particolare una messa in sicurezza dell’area associata ad azioni di pulizia e sfalcio per evidenziare e rendere fruibile un perimetro di lavoro, sarebbero auspicabili interventi di approfondimento scientifico volti a uno studio analitico della cava. In primo luogo, una ricerca archivistica per verificare eventuali notizie documentarie sull’esistenza del sito seguita da un rilievo delle superfici per una mappatura complessiva dei segni di estrazione, così da comporre un censimento, ove possibile, delle evidenze riconducibili al distacco dei blocchi per individuarne dimensioni e moduli. Un sondaggio di scavo aperto sulla motta lungo la parete garantirebbe l’accesso a diverse potenziali categorie d’informazioni: l’originario piano di calpestio, l’eventuale stratigrafia degli scarti di lavorazione, importante per l’inquadramento cronologico, il materiale archeologico in grado di fornire indicazioni temporali assolute e sull’eventuale continuità d’uso, la possibile esistenza di prodotti sbozzati o semilavorati per valutare l’ipotesi di un’officina in situ. Infine una campagna di survey sistematico presso l’area circostante garantirebbe un’indagine analitica finalizzata ad individuare i resti di frequentazione antropica e, soprattutto, di un’eventuale connessione infrastrutturale con il vicino centro urbano di Aosta. Nonostante non si conoscano i limiti cronologici dello sfruttamento del sito e benché un suo inquadramento entro l’età romana non sia suffragato da alcuna prova, è impossibile non evidenziare la suggestione di un ipotetico legame con i cantieri urbani di Augusta Prætoria o della città medievale, protagonisti di un uso massiccio di travertino locale. La posizione della cava sembra costituire un ottimo elemento di relazione con la realtà cittadina, insieme all’esistenza di un ponte sulla Dora Baltea e alla prossimità di una coltivazione di puddinga a Gressan in località Clerod. Senza giungere a conclusioni affrettate e del tutto premature, si auspica che le informazioni preliminari desunte dalle prime verifiche possano essere approfondite poiché, se la cronologia romana trovasse conferma, oltre ad altre segnalazioni già note di affioramenti di travertino, il sito individuato a Charvensod costituirebbe, oltre a quello di Clerod, la prima, e finora unica, cava di materiale costruttivo sfruttata in antico, archeologicamente attestata, della Valle d’Aosta. [Alessandra Armirotti, Maurizio Castoldi*] *Collaboratore esterno: archeologo. CHARVENSOD, CAVA DI TRAVERTINO UNA PRIMA SEGNALAZIONE COMUNE E BENE | Charvensod, cava di travertino TIPO D’INTERVENTO | sopralluoghi e prospezioni ESECUZIONE | Dipartimento Soprintendenza per i beni e le attività culturali: Alessandra Armirotti - Ufficio archeologia, didattica e valorizzazione, Dante Marquet - Ufficio scavi e manutenzioni; Maurizio Castoldi - archeologo collaboratore esterno
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