67 questione del tetto che alcuni considerano come il solo mezzo sicuro di conservazione, mentre per altri farebbe perdere al monumento il suo carattere e aspetto pittoresco. Per mediare fra le opposte fazioni si propone la realizzazione di una copertura leggera, che abbia più l’aspetto di un riparo che non di un tentativo di restauro, oppure, pur mantenendo la proposta di Caselli, che l’ossatura del tetto non posi direttamente sui muri ma su pilastrini, per rendere evidente che «non si vuole rifare l’antico, ma semplicemente proteggere, conservare l’antico». La diatriba sembra risolta molto più prosaicamente alcuni mesi dopo, quando una lettera della Prefettura di Torino datata 9 gennaio 1889 e diretta all’ingegnere capo del Genio civile, incarica quest’ultimo di eseguire in economia alcuni, parziali lavori. Si ritiene, infatti, che per il momento sia necessario effettuare solo quelli più urgenti e indispensabili ad assicurare la stabilità del monumento, e cioè i tiranti in ferro e gli speroni in muratura, per una spesa di circa 550 lire. Si richiede, inoltre, che per riguardo all’autore del progetto ci si rivolga a lui per ogni occorrenza e chiarimento. Il successivo 25 gennaio viene risposto che non appena la stagione sarà propizia per l’impiego della calce si darà incarico al capo mastro Carlo Bianchi di eseguire i lavori. A questo punto della vicenda entra in scena il suo vero protagonista, il delegato per la conservazione dei monumenti del Piemonte [Valle d’Aosta] e della Liguria, Alfredo d’Andrade11 (fig. 4), che il 28 gennaio 1889 si rivolge per chiarimenti al direttore generale delle Antichità e Belle Arti di Roma, Giuseppe Fiorelli.12 Il Genio civile gli ha, infatti, trasmesso il progetto anzidetto incaricandolo al tempo stesso di eseguire i lavori, ma (e questo tocca nel vivo la sua suscettibilità professionale) sotto la direzione di Caselli. Prima di un suo coinvolgimento, D’Andrade dichiara subito che «non può assentire nella opportunità del progetto di restauro a seconda delle idee del prof. Caselli, poiché la più parte delle cose in esso gli sembrano non necessarie o immaginate con meno giusti criteri. Così gli speroni in costruzione di pietre frammischiate a mattoni, le chiavi in ferro, la porta e scala di accesso, le chiusure con telai di vetri alle finestre ed il tetto. Per conseguenza non gli pare che i lavori necessari per la conservazione del Pailleron debbano essere fatti sotto la direzione del Prof. Caselli». Essendoci un ufficio (il suo!) appositamente creato per lavori di questo tipo, gli pare impensabile che le istruzioni riguardanti delicati lavori di conservazione e restauro possano provenire da una persona che sembra ignorare cosa siano i monumenti romani e medioevali e le norme fondamentali di questo campo d’attività. Dopo un’attenta disamina e una critica piuttosto dura al contenuto della relazione del professore torinese, D’Andrade afferma che, pur non avendo studiato il Pailleron nell’ottica di un suo restauro, lo ha comunque osservato abbastanza attentamente da notarne i particolari costruttivi e lo stato di conservazione. Si sente pertanto in grado di asserire che i maggiori pericoli per il monumento in questione provengono dalla spellatura della parte inferiore sul lato sud, dalla mancanza di difesa dei muri perimetrali contro il gelo e dal facile accesso all’interno dell’edificio a causa di una breccia nel lato nord. E ritenendo questi fatti i soli importanti avanza la sua proposta di restauro che prevede: 1) il rifacimento del rivestimento degli angoli coi materiali romani in passato strappati alle mura e ora messi a disposizione dal Comune di Aosta; 2) la chiusura con pietrame dall’aspetto moderno di una finestra nel fronte ovest, presso l’angolo sud-ovest, a rinforzo di una grossa crepa che esiste in quel punto; 3) la chiusura, sempre con pietrame dall’aspetto moderno, della grossa breccia per la quale si accede all’interno della torre sul lato nord; 4) la demolizione del tamponamento della porta che collegava la torre al cammino di ronda e il suo rimpiazzo con un’imposta di legno che permetta l’accesso all’interno, quando si renda necessario; 5) la sostituzione di alcune lastre di pietra del tetto e l’aggiunta di altre, allo scopo di garantire la protezione dei muri dalle infiltrazioni di pioggia e dai conseguenti fenomeni gelivi. La sua lettera accorata sortisce l’effetto voluto perché i lavori vengono rimandati con la decisione di studiare più approfonditamente i provvedimenti da adottare, e in data 11 febbraio 1889 D’Andrade viene finalmente autorizzato ad agire come meglio crede. Il 6 marzo il prefetto di Torino informa di questi sviluppi l’ingegnere capo del Genio civile e gli chiede di riavere indietro il progetto Caselli che deve essere trasmesso con sollecitudine al Ministero dell’Istruzione Pubblica. Da questo momento passano molti mesi prima che la questione venga riproposta, si arriva infatti al maggio del 1890 quando una comunicazione del prefetto prega l’ingegner Caselli di accordarsi col delegato per vedere quali siano le modifiche da apportare. È assolutamente indispensabile eseguire almeno i restauri più urgenti, e ragioni di economia consigliano di affidare a quest’ultimo lo svolgimento dei lavori perché può disporre del personale tecnico necessario. Un colloquio tra i due 3. Progetto di restauro, facciata nord del Pailleron. (C. Caselli)
RkJQdWJsaXNoZXIy NzY4MjI=