69 sembra risolutivo e la via da seguire potrebbe essere quella di effettuare solo gli interventi volti a garantire la conservazione del Pailleron. Per ottenere l’autorizzazione a procedere, l’ultima parola spetta però alla Commissione consultiva conservatrice dei monumenti13 che deve dare il suo assenso. Il 13 novembre 1890 il Ministero trasmette il parere definitivo che approva l’esecuzione dei seguenti lavori: 1) gli speroni di sottomurazione; 2) i concatenamenti in ferro per correggere lo strapiombo del muro; 3) la chiusura delle aperture di accesso; 4) la ripulitura generale dell’edificio e alcune opere conservative contro la pioggia e le intemperie. Ma nel frattempo dev’essere maturata in D’Andrade una sua personalissima idea riguardo al restauro in oggetto, perché a una richiesta urgente da parte del Ministero di riavere indietro il progetto Caselli per l’approvazione definitiva con regolare decreto, fa telegrafare che i documenti in questione sono in suo possesso e che in quel momento egli si trova a Firenze. Siamo al 10 gennaio 1891 e l’intento evidente è quello di prendere tempo. Lo stesso giorno, infatti, scrive al suo amico l’ingegnere Bongiovannini di Roma una lettera14 dal seguente tenore che ci illumina circa le sue vere intenzioni: «Poco fa ti spediva il seguente telegramma “da Torino comunicami Ministero chiede urgente restituzione progetto Pailleron Caselli per decreto approvazione. Spiegami come mentre approvate mio progetto, Ministro vuole approvare quello Caselli. Spero sia malinteso altrimenti parrebbemi intrigo Frassy [vedi nota 15] che mia dignità non potrebbe sopportare. Aspetto sollecito riscontro” E per la solita abituale concisione telegrafica non aggiunsi che il telegramma che ebbi da Torino diceva ancora che sarebbe stato solo dopo approvazione compiuta di detto progetto che ci sarebbero inviati i fondi necessari per l’esecuzione di detto restauro. Io in verità casco dalle nuvole. Sono tre giorni che io giunsi da Roma ove eravamo rimasti d’accordo che io a suo tempo cioè a primavera avrei messo mano al restauro del Pailleron a seconda del mio e non del progetto Caselli ed ora è questo e non quello che si vuole approvare? Io suppongo che chi scrisse o telegrafò a Torino l’abbia fatto a tua insaputa perché tu non avresti portato simile lettera alla firma senza avvisarmi prima che il Ministro voleva dispensarmi dal servizio che io porto come delegato perché puoi immaginarti, abbenché forse non te l’abbia mai detto, che io non faccio il delegato per eseguire progetti d’altri imposti in tale modo a me ed all’amministrazione perché non credo che ciò sia decoroso né per questa né per me. Come amico poi ti prego a lasciare che il progetto Caselli resti presso di me. Egli è troppo prezioso per giustificazione mia ora e quando avessi ad eseguire il restauro, disapprovanti come non è impossibile i Frassy e i Caselli ed i Ceradini. Spero perciò che vorrete lasciarlo nelle mie mani. Se quei signori non volevano che io l’avessi non dovevano permettere che esso mi fosse mostrato 2 volte! Ma come dicevo nel mio telegramma io sono sicuro che vi è un malinteso epperciò in attesa di sentire di ciò la conferma da te tiro avanti occupandomi delle nostre cose di cui trascurai di farti cenno».15 Prontamente Bongiovannini risponde con questo telegramma: «Progetto Caselli richiesto mio ufficio indipendentemente Frassy. Occorre soltanto per svincolare somme necessarie eseguire lavori concordati con te. Prego mandarmelo direttamente. Ordine ministro». Il 15 gennaio D’Andrade scrive al suo collaboratore Ottavio Germano16 di fare eseguire una nuova perizia sulla base di un piano lavori diverso dai precedenti e «da farsi in mattoni come già si è combinato». A questo punto, dunque, risulta chiaro che durante le schermaglie che hanno coinvolto i vari soggetti interessati al progetto, si era sviluppata chiara e compiuta l’idea di un restauro di natura completamente diversa da quelli prospettati in precedenza. Dalla successiva corrispondenza veniamo a conoscenza di quanta cura venga spesa nella ricerca dei materiali migliori con cui eseguire i lavori. Per prima cosa viene contattato il titolare della Fornace da calce idraulica G. Goria a Pontestura (Casale Monferrato) che fornisce indicazioni sui prezzi dei loro prodotti e del relativo trasporto. Germano si fa inviare dei campioni per poterli testare: i mattoni vengono immersi nell’acqua fino a completo assorbimento di quest’ultima e poi lasciati sulla neve (siamo nel mese di febbraio) per due notti consecutive alla temperatura di 16 gradi sotto lo zero. Appena tolti dall’esterno una parte viene messa ad asciugare all’aria, mentre uno di essi è inserito in una stufa ben accesa: nessuno si guasta e questo fa ben sperare sulla loro qualità. L’11 marzo viene inviata al Ministero una perizia di stima dei lavori per un importo di 10.000 lire complessive. Le opere da eseguirsi sarebbero le seguenti: al piano terra il rivestimento di muratura in mattoni delle facciate sud, est e ovest, la demolizione di muratura moderna nell’angolo nord-ovest e la chiusura della larga apertura sul lato nord; al primo piano la riparazione con pietrame e mattoni dei pilastri tra le finestre del lato nord; al secondo piano il reintegro in pietrame e mattoni dei resti esistenti e degli archi di porte e finestre, la copertura in lastre di pietra dei muri terminali e la sistemazione di due piccoli tratti di cinta attaccati alla torre. Alla perizia segue la consegna di una debita relazione corredata da disegni e dalle condizioni di esecuzione. Nel frattempo continuano gli esperimenti sul materiale da utilizzare e il 7 luglio Germano informa il direttore che in una fornace di Salussola (Biella) si producono mattoni con una terra biancastra e che vi si recherà per prenderne qualche campione. Alla fine, però, la scelta cade sulla Fornace San Bernardo di Ivrea che fornisce anche i mattoni necessari al coevo restauro del castello di Pavone Canavese di proprietà dello stesso D’Andrade. Migliaia di mattoni vengono ordinati e successivamente trasportati ad Aosta, tramite ferrovia, nei mesi di agosto e settembre del 1891. Il metodo operativo e gli intenti che vengono perseguiti sono ben espressi in quella Relazione dell’Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria che vedrà la luce nel 1899, dove le problematiche relative al restauro del Pailleron sono inserite in una più generale visione che coinvolge l’intera cinta muraria della città di Aosta. D’Andrade non teorizza, la sua è un’intelligenza pratica più che speculativa, e non si perde nei labirinti delle ideologie precostituite. Per meglio comprendere e decifrare il monumento si avvale della comparazione con l’altra torre romana che meglio ha resistito agli attacchi del tempo e degli uomini: quella del Lebbroso (fig. 5). Prima di mettersi al lavoro giudica dunque conveniente e necessario procedere all’esame di questo secondo rudere che presenta analoghe caratteristiche costruttive. E i risultati non si fanno attendere: «Questi e
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