74 per il quale è prevista una spesa di 10.000 lire, in parte coperta da quanto previsto per il restauro Caselli (3.000 lire) e da una somma economizzata da un altro lavoro. Restano scoperte 5.000 lire che è necessario reperire in qualche modo per procedere alla registrazione del decreto. Dai successivi e dettagliati rendiconti delle spese apprendiamo che, come avvenuto anche per precedenti cantieri, il direttore anticipa delle somme che poi gli vengono man mano rimborsate. Le maestranze impiegate sono composte da tre muratori e nove manovali sotto l’assistenza di Angelo Demarchi. Qualsiasi intervento sull’architettura storica deve essere preceduto da un processo di conoscenza, perché solo penetrando nella struttura più interna di un edificio antico e andando oltre l’apparenza si possono intraprendere le azioni volte al suo recupero e alla sua conservazione. Come abbiamo visto, le analisi preliminari permettono a D’Andrade di mettere a fuoco il monumento, leggere il suo sviluppo filologico e farsi un’idea ben precisa sulle caratteristiche specifiche e sugli esiti che si attendono dal restauro. Il suo è un atteggiamento «sempre teso alla ricognizione storica, all’indagine archeologica e materica, alla comprensione dei come e dei perché del dettaglio costruttivo, elementi per lui indispensabili a far rivivere un’immagine nella sua sostanza più significante».21 Camillo Boito, il già citato caposcuola della teoria italiana del restauro, legato a D’Andrade da profonda amicizia, ne mette in evidenza le notevoli capacità scrivendo che «I vecchi edifici non hanno segreti per l’acume della sua mente: il suo occhio si caccia per entro i grossi muri, penetra sotto terra: se non vede, indovina: le più volgari minuzie gli servono di guida e di indizio: palpando con la mano al buio le pareti di vecchie pietre conosce spesso la loro età dalle tracce che vi lasciarono lo scalpello e la gradina. Rivive nelle consuetudini dei maestri antichi, come fosse cresciuto tra loro».22 Questa fase preparatoria è testimoniata, per il Pailleron, da disegni, schizzi e fotografie che si conservano numerosi presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (GAM) e presso la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Regione autonoma Valle d’Aosta.23 Fra questi esistono due menabò, probabilmente pensati per una pubblicazione poi non realizzata. Quello di Aosta, in realtà molto più schematico di quello di Torino, è solamente un fascicoletto di carta su cui sono incollate foto e disegni presi da diverse angolazioni, con l’intenzione di proporre un confronto fra prima e dopo il restauro. Contiene tre fotografie realizzate da Giuseppe Giacosa nel dicembre del 1890, messe a confronto con tre bei disegni di pugno dello stesso D’Andrade, realizzati a china nera e matita di colore rosso, che propongono il restauro ultimato (fig. 7). All’inizio dei lavori, probabilmente, si disponeva solo delle foto di Giacosa ma, come prassi ormai consolidata, si provvede alla documentazione24 del cantiere con una serie di immagini scattate nel corso dei lavori (figg. 8-9) e poi a intervento ultimato (fig. 10). Osservando questo materiale si vede come i resti romani sono stati rigorosamente conservati e come i blocchi originari sono solamente incorniciati dalle integrazioni in cotto «affinché i restauri non potessero mai venir confusi 10. La torre dopo il restauro vista da sud-ovest. (Archivi beni archeologici)
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